Una pace inquieta
Figura d’uomo, pagliacci e antipagliacci, ricercata nella letteratura anche da Gian Guido Folloni che rilegge Moby Dick di Melville. Più di ogni considerazione sugli equilibri geopolitici attuali, Folloni ritiene che sia utile, per affrontare il tema del Tonalestate, confrontarsi con il bene e il male del tempo. Tre sono gli spunti offerti dal libro su cui si è soffermato. L’identità, l’amicizia, il tempo.
“Chiamatemi Ismaele”. Come è proprio dei romanzi che non si dimenticano, anche l’incipit di Moby Dick getta il seme di molte delle riflessioni e degli avvenimenti che si incontreranno nella lettura. Ismaele, “ogni volta che nell’anima ho un novembre umido e stillante; quando mi sorprendo a sostare senza volerlo davanti ai magazzini di casse da morto, o ad accodarmi a tutti i funerali che incontro..”; decide il viaggio. La propria inesorabile persona, antipagliaccio sine glossa, non “si riduce a vivere con mezzo cuore e mezzo polmoni” e decide un viaggio nel quale conosce e misura lo scontro tra bene e male, tra verità e menzogna; nel quale non la solitudine dell’onnipotenza, ma la compagnia di una relazione d’amicizia consente di affrontare “la monomaniaca incarnazione di tutte quelle forze malvage di cui certi uomini profondi si sentono rodere nell’intimo”. Il tempo, infine, che plasma le identità, giacchè ciò che si è matura ed emerge nell’affronto delle circostanze dei propri giorni. Che cosa facciamo del tempo?-si chiede Folloni. Ci sono un tempo di Dio e uno nostro? Domande che scendono al fondo della propria umanità e che richiedono altri spazi che non quelli dei frettolosi spettacoli in cui oggi sono rinchiusi troppi avvenimenti e troppe persone.
In risposta a una domanda dal pubblico che chiedeva quale fosse l’uomo nuovo, Folloni ricorda che Ismaele è colui che si mette in viaggio perché non è più in sintonia con il suo tempo. E’ nuovo chi accetta di non fuggire dalle circostanze e dal suo Dio e si mette in viaggio alla ricerca del significato, accettando la complessità della ricerca e coinvolgendosi in amicizie capaci di sostenere il cammino e di accompagnare a intravedere risposte alla fatica del vivere. A chi chiedeva di soffermarsi sul concetto di tempo, risponde che Tonalestate è il luogo dell’unità del tempo, dove non si separa il tempo terreno, portatore di tutti gli “accidenti” umani, da quello di Dio a cui si riserva, spesso anche dai credenti, la stessa “noncuranza di un cacciatore che insacca una beccaccia morta”. Nella separazione dei tempi c’è lo spazio dell’idolatria. Il tempo del Tonalestate, per Folloni, che lo frequenta fin dal suo inizio e anche prima di esso, non è il tempo disperso ma totalmente dedicato perché connesso al destino dell’uomo e della storia. Vi si partecipa a “un’università dell’umano” in cui ogni voce presenta la sua identità, i saperi entrano in dialogo e, oltre e più dell’analisi, si ricerca il viaggio che nel confronto fra il bene e il male fa scomparire l’idolo con il suo volto da insolente pagliaccio.