Dell’inconveniente di esser nati
Ogni giornata dei lavori del Tonalestate si annuncia con una provocazione che è proposta di ascolto, domanda e attesa di una risposta. Anche questo titolo di apertura dell’edizione 2018 offre il primo passo del lavoro che attende chi avrà desiderio di conoscere. Eletta Leoni, moderatrice dell’evento, accoglie un fresco pubblico di giovani e di turisti.
Docili a un servizio reciproco che ci allontani dall’abisso del non-senso, questi nostri quattro giorni spero che possano essere “chiaro fuoco che colma spazi limpidi” (sono parole di Baudelaire), uno spazio di lavoro comune dove “alle tristezze si sostituisce il coraggio, al dubbio la certezza, alla disperazione la speranza, alla malvagità il bene, ai lamenti il dovere, allo scetticismo la fiducia, ai sofismi la santa semplicità, all’orgoglio la modestia” (sono parole di Comte de Lautréamont). Così che ciascuno di noi qui presente possa dire “ho teso corde da campanile a campanile, ghirlande da finestra a finestra, catene d’oro da stella a stella” (sono parole di Rimbaud). Ho citato tre poeti in poche righe, e vorrete per questo perdonarmi: è che i poeti, quando son tali, ci provocano a vedere più a fondo e al contempo più in alto nelle cose che abbiamo tra le mani, nelle persone che incontriamo e nei fatti che accadono, cose, persone e fatti che noi magari senza ragione consideriamo banali e di poca importanza o ai quali diamo senza ragione un’eccessiva importanza. I poeti ci aiutano al linguaggio della delicatezza nella sincerità, a quel tocco che permette di andar oltre ad ogni offesa e a non serbare mai rancore. I poeti ci aiutano a non essere “tempesta e neppure ciclone, ma un fiume maestoso e fertile” (Comte de Lautréamont). Ci aiutano a desistere dal fascino del fare i pagliacci (magari pagliacci espertissimi e brontoloni) per raccogliere invece l’invito a essere uomini, e ogni uomo è un bel mistero, mistero di limiti e di talenti attraverso i quali uno può e deve riconoscere qual è il suo compito e quindi il suo posto nel mondo.
Proprio ieri sera, un giovane ragazzo mi diceva: “Siamo in una situazione talmente malvagia che è impossibile fare qualcosa di utile, qualcosa che porti a un cambiamento. Forse – questa la sua speranza – la scienza ci aiuterà a trovare delle risposte concrete”. Queste giornate potranno, spero, aprire una speranza nel suo sconsolato pessimismo, che può condurre a un’inattività mortale o a una pericolosissima acquiescienza a fantasie irrisolutorie.
So, per esperienza, che si possono fare, insieme, cose molto importanti che cambiano il nostro intorno. Il male infatti potremmo definirlo, come ci insegnavano alcuni nostri padri, uno stravolgimento delle priorità. Ridare ordine alle priorità è possibile, se lo si fa insieme senza escludere niente e nessuno.
“Luminose speranze destano i cuori/fugando la nebbia al lieto presagio” (Sophie Mereu, finalmente un bel poeta al femminile): non è forse vero che davanti all’altro, davanti alla rivoluzione dell’incontro, il cuore desidera non sperimentare più un dolore infernale ma sperimentare invece un dolore divino che, magari poco a poco, si trasformi in una pace forse ormai inaspettata? Con questo desiderio comune, col vincolo comune di ricercare una pace forse ormai inaspettata, iniziamo questi nostri quattro giorni di lavoro culturale. E chiamo pertanto a parlarci il primo dei nostri invitati, sua eminenza il card. Giovanni Battista Re, già prefetto della Congregazione per i vescovi.