Non voler guardare per non dover credere
Non siate più increduli, ma credenti: della sofferenza degli uomini e del posto che ci è assegnato per rimanere uomini e bruciando d’amore scalderemo un po’ il gelo che ci opprime.
Si apre con un documento straordinario di Giorgio Fornoni l’ultima giornata del Tonalestate 2019. Si tratta del video che ha Fornoni ha girato “sulla rotta della Bestia”, il treno merci che trasporta gli indocumentados dell’America Latina e del Messico alla ricerca di un passaggio verso la vita.
Il video riprende il fiume di persone bloccate davanti a quel muro tra Messico e States che alla fine costerà agli americani cinque miliardi di dollari. Le parole e i volti di donne, bambini, uomini sono quelli di un’umanità disperata e priva di tutto, persino di una propria identità, che sogna il passaggio, ma che può sperare di realizzare il sogno solo se dall’altra parte ha la fortuna di poter avere un nome cui aggrapparsi. Sono volti e interviste che bisogna avere il coraggio di guardare e di portare dentro la nostra coscienza per specchiarci ancora uomini. La paura che abbiamo di perdere il nostro denaro e le nostre comode, quanto irreali sicurezze, ci paralizza rendendoci ancora più schiavi di un sistema disumano che non possiamo continuare ad accettare.
Fornoni è andato anche nei centri di accoglienza come quello di Padre Alejandro Solalinde e quello delle Patronas, un gruppetto di donne che prepara pasti da allungare alla marea di mani che si protendono dal treno in corsa.
Ed è con quella stessa determinazione, ma con la delicatezza di una giovane ragazza guatemalteca, Maria Teresa Ajin Aguilar che conosciamo la storia di un gruppo di ragazzi che da El Salvador, nel 2012, facevano ogni fine settimana 483 Km per raggiungere lo sperduto villaggio di San Marcos, colpito da un terribile terremoto. Restavano con la gente, ascoltavano i bisogni, cercavano di trovare risposta, con pochi mezzi, ma pieni della coscienza che la gente del posto chiedeva ciò che loro stessi chiedevano: qualcosa che rendesse la vita degna di essere vissuta. Maité, come ormai tutti la chiamano, racconta che ciò che la sorprese di più di quei giovani, oltre la decisione di lasciare le loro case, fu vederne la compromissione personale e l’infaticabile forza che li rendeva parte di quel suo popolo in difficoltà. La loro unità, la loro Compagnia, divenne la sua (e con quanta letizia ne racconta i passi da quando “Andrea” la invitò a unirsi a loro) e ora segue a Città del Guatemala il progetto “Libros libres”. Ogni settimana, nella piazza del mercato cittadino, c’è un hogar per i bambini degli ambulanti nel quale sono proposte tante attività, ludiche e scolari, non per intrattenerli, ma per accompagnarli nell’imparare a crescere insieme.
Yoshimi Shibata abita a Nagoya. E’ madre di due figli e dice che viveva una vita in cui nulla le mancava, finché nel 1992 non lesse su un giornale di un corso di lingua italiana che teneva una professoressa della locale Università, Angela Volpe. Fu l’inizio di una serie di incontri che, a suo dire, le cambiarono la vita. Conobbe il professor Giovanni Riva e venne in contatto con diversi Paesi delle Americhe e dell’Europa. Quella frequentazione alimentava una domanda che, inconsapevolmente, aveva dentro di sé: trovare un significato profondo per il quale spendere la vita. Quando chiese al Professore cosa potesse fare per aiutare i bambini poveri del mondo, ricevette una risposta che la mise in un cammino nuovo e insospettato. “Diventa amica delle persone che ti sono prossime, cercale, ritrova la bellezza dell’essere uniti nell’affrontare le circostanze della vita. La vostra amicizia si allargherà e costruirà una compagnia di uomini che avranno a cuore le persone e i loro bisogni”. Solo l’esperienza vissuta negli anni le consentì di capire quella risposta e di vivere tutto il proprio tempo pieno di un significato. Oggi è responsabile del Centro culturale One Way di Nagoya e collabora con la ONG Olive Japan.
“Fin quando ci saranno questi uomini, non crescerà mai il deserto”. Ci piace consegnare a chi ci leggerà, il messaggio che viene da queste testimonianze, augurio che Giorgio Fornoni ci ha lasciato perché possa diventare il compito di tutti.