L’idolo vive nella ragione che si pretende
Aldo Giobbio, con ironia e acume, fa una puntuale introduzione storica sui barbari chiedendosi quanto fossero incivili e chiedendosi pure se, per rispondere, si possa staccarsi dal senso corrente del termine. In effetti, se barbaro è “l’altro, il suo grado di barbarie è evidentemente proporzionale al suo livello di alterità”. Così è immediato volgere lo sguardo ai barbari del nostro tempo (tra cui don Milani). In una società senza fini come la nostra, una società che non ha missione, quali sono i doveri? Risponde: “Contestare il pensiero unico non é vietato: é impossibile”. E il frutto é l’insipienza. D’altra parte, nella storia, “al popolo o gli dai cose, o gli dai bugie o gli dai la forca”.
La scrittrice Antonia Arslan, con un intervento che ha appassionato il numeroso pubblico giovanile, ha letto alcuni frammenti di tre sommi autori: “la lacrima” di Arthur Rimbaud , “la canzone di cavaliere” di Federico García Lorca e dal “canto del pane” di Daniel Varujan, considerato la voce del popolo armeno, ucciso nel 1915 agli inizi dell’olocausto del suo popolo. Sono tre autori considerati stranieri nei loro rispettivi paesi, nonostante siano nati, vissuti e abbiano costruito la storia dei loro stessi popoli. Così come accadde per Gertrude Colmar, ebrea tedesca. La professoressa Arslan è convinta che l’idea del barbaro la si vince se ci si mette in gioco. Cosa possibile se ognuno abbandona idee reçues, mettendosele alle spalle per poi mettersi all’opera di una costruzione nuova.
Jean Tonglet è delegato del movimento ATD Quarto Mondo per le relazioni con l’Italia e la Santa Sede, e direttore del Centro Internazionale Joseph Wresinski. Il suo focus è su una forma di barbarie che dilaga nelle società: “la miseria è una forma di barbarie, un trattamento disumano e degradante, un modo di trattare gli uomini, le donne, i giovani e i bambini come sotto-uomini”. Come dare scacco a tale ingiustizia? Innanzitutto eliminando un assolo che affida solamente allo Stato e alle legislazioni il compito di occuparsene. Ciò dipende da “un’oblio” dell’origine della giustizia. Essa è praticata quando genera da “una giustizia del cuore” che muove alla responsabilità di prendere su di sé la sofferenza, la vergogna, l’umiliazione che provocano la miseria. Riportiamo una citazione che Tonglet riprende da padre Joseph: “Una condizione per poter esprimere veramente ciò che siamo, l’uomo che dobbiamo essere, è di avere la capacità d’amare! Vale a dire mettere l’altro al livello delle proprie preoccupazioni! Non delle preoccupazioni secondarie, ma delle preoccupazioni maggiori! Maggiori!”