C’è una domanda nell’uomo, c’è una risposta nel mondo
Guardando alla realtà della persona emerge l’infinito bisogno di cui siamo costituiti che nessun particolare bisogno soddisfatto può colmare. La vita quotidiana dimostra che il proprio significato sta altrove se cresce nei cuori l’aspettativa di un domani diverso. È un’insufficienza umana radicale, una povertà ontologica, e tale sete originaria è la fonte dell’umanizzazione. La vita, e la realtà tutta, è un dono, un continuo soccorrere l’insufficienza dell’uomo. Un dono fatto a me, a te, all’altro nella gratuità totale giacché il dono oltrepassa la legge del mercato. Carmelo Dotolo definisce questa antropologia che pare paradossale “la beatitudine della povertà”. Tale condizione che, per quanto negata, è inconfutabile, espone alla condivisione che permette di superare il limite della finitudine personale. Possiamo passare la soglia del nostro limite con gesti d’amore verso l’altro. Ogni autentico gesto d’amore certamente ha come conseguenza una diminuzione della sicurezza propria perché chiede la capacità di non appiattire l’altro, di lasciarlo libero nella sua singolarità che sovente ci strappa a noi stessi e alle nostre prestabilite visioni della vita. “Chi non è povero rimane chiuso in sé, incapace di futuro, in quanto non aperto all’avvento dell’altro”. Nell’esperienza della povertà da individui si diventa soggetti relazionali e la collettività si trasforma in comunità “quasi a segnalare l’ineludibile tensione verso spazi di riconoscimento e di accoglienza” .
Una proposta antropologica per un’identità umana matura e coraggiosa, non da irridere, come potrebbe essere istintivo fare, ma da riconoscere profondamente ragionevole.