Conclusioni Tonalestate 2014
Nel manifesto del Tonalestate di quest’anno, un vecchio nasconde, dietro i pugni chiusi, il suo pianto. Gli eventi che hanno accompagnato la sua vita non li conosciamo: non sappiamo se la storia gli ha somministrato carezze o colpi di frusta. Ma a nessuno sfugge che siamo di fronte a un uomo che sa che cosa sia l’umiliazione e che sa, al contempo, che cosa sia la dignità. Umiliazione e dignità: due parole ricorrenti nelle riflessioni e nel racconto delle esperienze di vita che abbiamo conosciuto e incontrato in questi quattro giorni di lavoro insieme. Che cosa significano veramente queste due parole così importanti nella storia, così importanti per l’uomo?
Umiliazione è una parola latina composta da humus – che significa “basso” o “terra” e azione che viene da actus. L’actus, per i latini, era il diritto di agire. Umiliazione, quindi, indica la condizione per cui una persona è messa (o si mette) così in basso, quasi fin sotto terra, da perdere il diritto di agire. Ma da quel sottosuolo in cui è spinto (o si spinge) può solo vivere, come ha detto uno dei nostri relatori, la sua “frustrazione per insignificanza”.
Dignità ha la sua origine in due verbi latini: dìcere – che significa dire – e docère che significa mostrare, insegnare. La dignità consiste nel dire, nel mostrare, nel far vedere e nell’insegnare chi sei, qual è la tua specificità, ciò che fa di te te stesso. Dignità è pertanto la parola chiave perché nella storia tu possa lasciare il segno della tua unicità. Ed è impossibile che esista una dignità grigia, mescolanza triste di un bianco e di un nero che, unendosi, han perso ogni vigore: la dignità presuppone infatti una scelta, una decisione ferma, una vigorosa disponibilità a dar tutto di te per ciò che scegli e per abbracciare tutto e tutti, partendo da quel punto che hai scelto come “il punto di partenza serio” della tua vita. È fedeltà profonda, costante, paziente, rigorosa a ciò cui decidi di dedicare la vita.
Come l’umiliazione è oscura e frustrata, la dignità è luminosa e feconda.
Se abbiamo visto, in questi giorni, l’inferno dell’umiliazione, abbiamo anche assaporato il profumo della dignità. E questo non dobbiamo dimenticarlo mai, coscienti che il degrado dell’umiliazione è nel cuore prima che nell’ambiente e che il vigore della dignità è nel cuore prima che nell’ambiente. C´è un prima ontologico che riguarda solo la persona con se stessa. A lei spetta sempre di scegliere, in qualsiasi situazione, tra il vittimismo e la lotta, tra l’abbattimento e il vigore.
Ogni persona si trova immersa nella storia. A volte gli eventi che deve affrontare sono tremendi: le guerre, l’esilio, il sequestro, la tortura, l’ingiustizia, il tradimento, l’assurdo, la fame, la sete, la malattia, la morte o l’uccisione di chi ama, la manipolazione, l’infamia e l’oltraggio. A volte, gli eventi sono di una banalità quotidiana che rasenta la noia: sopportare un altro che ci sottrae un pezzetto d’amore, un pezzetto di tempo, un pezzetto di allegria, quei pochi centesimi e quel giocattolo cui siamo inspiegabilmente affezionati; l’altro che non ci capisce, che non ci presta attenzione o ce ne presta troppa; l’altro che ci toglie un poco d’aria e di spazio nel nostro mai domato desiderio di potere: quel piccolo potere affettivo, potere di vanità e di spreco che, come insetto fastidioso, ci rallenta nella buona edificazione.
L’ingiustizia, il tormento, il vuoto, la crudeltà esistono, ci sono, “eppure”, come dice Antonio De Petro, “il cuore vorrebbe almeno pronunciare una parola che dia speranza. Vorrebbe sapere che, ancora, tutto potrebbe accadere”.
In qualsiasi circostanza in cui veniamo a trovarci nella nostra vita – siano esse circostanze estreme o circostanze povere e tutto sommato banali – abbiamo imparato in questi giorni di lavoro che la dignità fa suoi tre principi: 1. non c’è da credere niente sotto il vestigio del caso; 2. non bisogna mai ammirare la forza; 3. non bisogna odiare i nemici né disprezzare chi è in disgrazia. Sono tre principi che richiedono certo uno sforzo ma che in sé sono semplici oltreché importantissimi. Eppure qualcosa ci dice che sono insufficienti. Abbiamo bisogno, per non venir meno al nostro compito nella storia, di qualcosa di ancor più positivo, abbiamo bisogno di qualcosa che vada ancora più in là.
Vale la pena accorgersi che, nella storia, ci sono degli uomini e delle donne che hanno, da sempre, un motto, che è “Oh bònitas!”. Come fanno, di fronte ai fatti più brutali o ai fatti più fastidiosamente banali, ad arrivare al punto di poter sempre dire: “Oh bònitas!”? Come fanno a dire (nei fatti e non solo a parole) che il mistero che abita la storia è, per l’uomo, mistero di bontà? Sono forse pazzi, ciechi, sordi, sciocchi e superficiali? No. Infatti, chi li incontra, li riconosce vigorosi nella dignità, in loro “l’eccesso diventa logica, il sublime si fa semplice”. La loro vita “non dev’essere mai riformata, perché non si è mai deformata”. Concepiscono se stessi sempre insieme; hanno abbandonato ogni idea di lotta per il potere, sia esso grande o piccolo; sono umili e sempre all’opera. La loro non è l’avventura comune dei marinai che vanno di porto in porto cercando e accumulando esperienze. La loro è un’esperienza umana che ha un perno stabile e al contempo è ricchissima di movimento. Sono davvero “le formidabili fortezze dell’umanità”. Ecco, questi uomini e queste donne, che vivono la vita a fianco della nostra, che sono amici che possiamo incontrare e coi quali possiamo condividere la vita – e di cui abbiamo conosciuto, in questi giorni, esempi indimenticabili – hanno rimesso a posto il punto di partenza che credevamo impazzito. Sono loro i nostri esempi nella storia, proprio loro che han scelto la via, ardua, nella sua assoluta semplicità, di piangere con chi piange e di gioire con chi gioisce. È questo il cuore che batte sotto il lavoro dei centri culturali che il Tonalestate ha visto nascere in vari paesi del mondo e che continueranno il loro lavoro a favore dell’uomo, per fare della storia uno spazio più umano e più giusto.