Conclusioni Tonalestate 2013
Ci è stata data la possibilità, in questi giorni, di affrontare il tema del linguaggio e la comunicazione in un modo molto diverso dall’accademicismo o dall’astrazione con cui viene normalmente affrontato: siamo stati provocati ad andare al cuore vero del tema, quello che ahimé ancora troppi insegnanti, giornalisti, politici, scrittori e sacerdoti – cioè coloro che abbiamo definito “i professionisti del linguaggio” – ma anche noi, genitori o figli, giovani o anziani, adulti o ragazzi che ancora vanno a scuola, tutti noi dunque, che per lo più viviamo in situazioni e condizioni ancora umanamente degne, non abbiamo la voglia, il tempo e il coraggio di affrontare.
Il cuore vero del tema del linguaggio è che le parole che normalmente pronunciamo e che normalmente ascoltiamo non sono chiare, non sono autentiche, non sono vere e non sono vitali: cariche di ambiguità e di inganno, grazie alla loro arte di manipolare, creano confusione e, pertanto, dolore, in chi le ascolta con cuore di fanciullo. Con la mia negligente superficialità, sono dunque io che imbroglio i segni, i linguaggi, il significato, e lo faccio con la pretesa di difendere la mia vita, pur sapendo che chi vuol difendere la propria vita la perderà.
Ci siamo parlati, durante questi giorni, con molta franchezza e abbiamo messo a nudo dei problemi che lacerano la terra che abitiamo. Molti di questi problemi li ignoravamo, perché le frivolità di cui normalmente ci occupiamo (se fa caldo o freddo, se va di moda il giallo o l’azzurro, se è meglio leggere o scrivere, se m’ama o non m’ama, e cosí via) ci chiudono bocca, orecchie e occhi e ovattano d’indifferenza l’intelletto e il cuore. Ma dobbiamo prendere coscienza che è tale il vincolo che lega l’uomo all’altro uomo che se anche una sola persona sulla terra è vittima di un’ingiustizia o compie un’ingiustizia, soffre o perpetua un inganno, tutta la creazione ne soffre, tutta la creazione ne viene contaminata e in quella creazione ci sono dentro anch’io: tocca quindi anche a me spezzare la catena di quest’iniquo inquinamento.
Le ingiustizie che si compiono e che si subiscono sono davvero troppe e ci domandiamo chi avrà il coraggio di Abramo e chiederà pietà per noi, generazione che, molto esperta nel bene, continua però ad agire tanto male e senza scrupoli.
Ogni volto che ci guardava dai filmati di Giorgio Fornoni ci diceva: “Il mio nome è Nessuno, non perché così mi abbia chiamato mio padre e mia madre, non perché così mi chiamino gli amici, ma perché così mi chiama un mondo che dà più valore al suo benestare che al sudore della mia fronte, valutato la succosa somma di ben venticinque anelatissimi dollari la settimana. E purtroppo anche tu mi chiami Nessuno e mi consideri Nessuno, anche tu, che magari mi guardi con le lacrime agli occhi”.
Siamo tutti rimasti senza fiato di fronte alle testimonianze di irragionevole sfruttamento e di barbara violenza che ci sono arrivate da varie parti del mondo: dal Congo, dal Pakistan, dal Rwanda, dai mari del Pacifico e dell’Atlantico, dall’Africa, dall’Asia, dall’America Latina, dalla ex Unione Sovietica, dall’Europa e dal Medioriente. Di fronte a queste realtà, il linguaggio vorrebbe morire, ma restano le immagini raccolte da qualcuno che ne ha avuto pietà e il grido di chi ha avuto il coraggio di farle conoscere al mondo e a noi.
Di fronte a queste immagini e a questo grido, dapprima c’è lo scandalo, un muto sbarrarsi dello sguardo; poi nasce la vergogna, per essere chissà, senza saperlo o volerlo, complici del male, con il nostro quotidiano e continuo preoccuparci di altre cose; infine ci assale un senso di impotenza e di sconforto. Ed è facile che lo scandalo e la vergogna, il senso di impotenza e di sconforto cerchino poi in fretta rifugio nelle braccia di sorella poltrona, cioè della pigrizia di cui ci parla il testo di Giovanni che apre il libretto del Tonalestate di quest’anno e che vi invito a studiare e a imparare a memoria: è infatti la pigrizia che ci fa tornare alla nostra rutinaria vita, cercando al più presto di dimenticarci del dolore altrui.
In questi giorni, c’è stato chi ci ha chiesto aiuto: i volti sconosciuti del Congo, e i volti amici del Giappone, del Pakistan e della bella America Latina, bagnata da due mitici e non più limpidi oceani. E il Tonalestate desidera rispondere a questa loro richiesta.
È vero che non abbiamo mezzi; è vero che siamo solo una manciata di uomini e donne, senza virtù eroiche e non siamo nemmeno tanto abili. Ma quello che abbiamo, lo dobbiamo dare. Non sarà né oro né argento, non saran le mille cose che, per disgrazia o per fortuna, non abbiamo. Ma una cosa l’abbiamo: la nostra voce e la nostra scelta di essere amici dell’uomo. Abbiamo il “sì” e il “no” che ci sono stati insegnati da Nando e da Giuliano nostri fratelli e da Giovanni, nostro maestro nella carità, che sempre ci ha invitato a porre una barriera alla catena del male che si perpetua nella storia.
Qualcuno ci ha considerato, un giorno, chissà tanti anni fa o forse solo una settimana o poche ore orsono, suo prossimo: e noi ora dobbiamo considerare prossimo chi si avvicina e ci chiede aiuto. E dobbiamo farlo insieme, o la forza potentissima della mentalità dominante, così avida di beni materiali e anche spirituali, ci sedurrà, come il canto delle sirene avrebbe sedotto Ulisse se i suoi compagni non l’avessero legato stretto alla barca sulla quale navigavano insieme.
Tra le tante parole che continueremo ad usare, chissà in modo superficiale o non tanto chiaro, perché il cammino della riscoperta del significato delle parole può essere assai lungo, ce n’è una che dovremo però riscoprire subito e in fretta: è la parole amore, che è linfa del lavoro culturale e sociale proprio del Tonalestate.
Questa è infatti la direzione del lavoro che il Tonalestate propone a chi desidera collaborarvi: scoprire, nei fatti e nella vita, il significato autentico della parola amore, liberandola dal fango in cui è stata anch’essa calpestata e vilipesa, L’amore non è, parafrasando un proverbio italiano, dolcezza dei sensi, ma è azione, è cura perseverante, umile, gratuita, lieta e intelligente, là dove sei, là dove vai, con chi incontri e con chi ti incontra. L’amore non è un muoversi in tondo, cioè su se stessi. L’amore non è contemplazione di se stessi. L’amore è faticoso come seminare; è inventivo, e scopre segni, linguaggi e significato privi di imbroglio. E non dimentichiamo che l’amore non è invidioso né avaro e che l’amore tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.
Di esempi di questo tipo di amore (che sa raggiungere la vetta altissima di un operativo ed educativo perdono) il Tonalestate 2013 ce ne ha dati più di uno: avendo nel cuore e nella mente questi testimoni, il compito è pertanto chiaro, e, dentro le circostanze concrete nelle quali si trovano i nostri gruppi, le nostre realtà, i nostri centri culturali, le nostre scuole, le nostre associazioni e le nostre fondazioni, esploderà senza dubbio la creatività imprevedibile e inconfondibile di chi sa dire di no alla mentalità dominante e dire di sì all’altro.
Come ci è stato detto da uno degli ospiti del Tonalestate, all’uomo non basta essere in connessione: ha bisogno di essere in comunione con l’altro. Che queste parole ci siano presenti quando ci scriviamo, quando ci telefoniamo, quando ci mandiamo un messaggio, quando parliamo, quando promuoviamo iniziative o diamo vita a nuove associazioni, nuove opere, nuovi legami.
E porgiamo l’orecchio, in tutto questo appassionato daffare che ci attende, a Colui che dice: “Io imbroglio i simboli, i linguaggi e il significato, come feci a Babele”. Porgiamo l’orecchio a Colui che, col suo imprevisto, laetificat juventutem meam. E non dimentichiamo che solo lo Spirito parla allo spirito.