Il paese più straziato è il mio cuore
Cosa succede quando un essere umano viene completamente annientato?
Esther Mujawayo è una psicoterapeuta e scrittrice ruandese sopravvissuta al genocidio del 1994, nel quale ha perso i genitori, il marito e una sorella.
A pochi mesi dalla fine della tragedia, ha fondato “ Avega”,un’associazione che ha lo scopo di aiutare le donne sopravvissute, in particolare quelle che sono state vittime degli stupri.
La sua storia è quella di migliaia di persone che hanno visto arrivare “la soluzione finale” in tre mesi, sotto gli occhi dell’ONU e del mondo intero.
Il Tonalestate aveva già avvicinato lo sterminio quando nel 2011 aveva ospitato Beata Uwase che era soltanto una bambina in quel 1994.
La signora Mujawayo racconta che i fatti vennero preparati da anni precedenti in cui si era alimentata una mentalità che aveva ad ogni costo voluto la divisione tra i tutsi e gli hutu. Gente che aveva sempre vissuto fianco a fianco e condiviso la quotidianità si vide scrivere sulla carta di identità non la nazionalità ruandese ma l’appartenenza razziale e così si fece nelle scuole facendo alzare la mano ai bambini dell’una e dell’altra etnia. Tale propaganda raggiunse lo scopo di non far più riconoscere nell’altro, vicino a te, un uomo ma piuttosto una bestia da eliminare. Quando scoppiò la tragedia, gli assassini furono persone normali, vicini di casa, infermiere e maestri di scuola.
Come poter continuare? Come poter riprendere a vivere senza potersi più fidare di nessuno?
Chi è sopravvissuto ha dovuto affrontare tre tipi di vuoto: il primo, quello più straziante, è stato certamente quello affettivo per essere rimasti soli senza neppure il conforto di aver potuto seppellire i propri cari. Un secondo riguarda la società, che non ebbe più alcun tipo di valore di riferimento ed, infine, la devastazione economica perché tutto della comunità e della vita personale era stato distrutto.
L’associazione Avega nacque da un piccolo gruppo di amiche che si ritrovavano miracolosamente. Suo primo scopo fu riempire con ogni mezzo questi tre vuoti aiutando il ricrearsi di nuove famiglie che dessero nuovamente il senso di appartenere a qualcuno, trovare gli oggetti di base per la vita quotidiana così da vivere invece che essere solo dei sopravvissuti, infine la forza di tornare ad imparare una vita comunitaria in cui si accettava anche colui che era stato l’assassino del proprio famigliare. Per farlo, il primo passo fu quello di distruggere il linguaggio della propaganda che aveva originato l’inimmaginabile.
La signora Esther racconta che il progetto che più le stette a cuore all’inizio fu quello di poter dare una mucca ad ogni vedova. Nella società ruandese quando una donna diventa vedova precipita nella considerazione sociale e viene privata di ogni possibilità. Avere una mucca consente a queste donne di potersi sostenere e perciò avere una prospettiva di futuro.
Due cose sono la priorità dell’Associazione oggi: non tacere e far reagire quante più persone possibili di fronte all’ingiustizia. In secondo luogo trovare la forza per rialzarsi.
“Dove ci sono le mucche c’è anche un letamaio e stare vicino a un letamaio non è piacevole, ma lo sterco fa crescere le patate e gli alberi di banane”. Possono ancora nascere buoni frutti, sebbene abbiano al fondo il letame tanto puzzolente dell’annientamento dell’uomo sull’uomo, se da tali avvenimenti cresce la coscienza di opporsi all’ingiustizia e la volontà di operare perché non si perpetri.