Non sien le genti ancor troppo secure a giudicar…
Il primo sguardo di Francisco Prieto è pessimista: la nostra esistenza, oggi, si agita in una terra della nulla in cui siamo spinti a diventare parassiti depredatori. Approdati in un deserto dei simboli e dei vincoli originari “i vincitori fanno uso degli altri e non conoscono la pietà; i vinti sono considerati dei falliti e non possono nemmeno supplicare misericordia”. Tutto il reale è qui, ora e il futuro si identifica soltanto con le trasformazioni tecnologiche.
I simboli che abbiamo eliminato (Prieto cita la croce come la falce-martello) erano il linguaggio silenzioso e potente di un lavoro da fare, una missione da compiere. Ora il linguaggio di potenti média tecnologici si sostituisce al pensiero dell’individuo e sceglie per lui gli “alimenti spirituali” obbligandoci a una mentalità uniforme che ha scalzato la necessità della responsabilità personale.
Tale lucida lettura dei fatti non dimentica però un altro inestirpabile polo: permane nell’uomo la nostalgia di felicità e di amicizia con tutti e tutta la realtà, nostalgia che sta alla base della stessa percezione del non senso che ci opprime.
Nel bicentenario della nascita, Prieto propone l’indagine e il cammino esistenziale di Sören Kierkegaard che già aveva voluto guardare nella nebbia dell’omologazione e della “perdita dell’individuo”. Pur vivendo sotto i condizionamenti e l’ingiustizia, colui che saprà prendere nelle proprie mani la realtà intera, compromesso insieme agli altri in “reti comunitarie” potrà ancora sopportare l’oggi preparando già il futuro. Si tratta di non rifiutare “l’agonia o lotta con sé stessi e col mondo”.
C’è una possibilità di incontro capace di offrire una parola convincente sulla vita. L’incontro con quel Gesù, mistero e paradosso, che passando per l’ingiustizia e la morte, realizzò se stesso e realizzò l’uomo. È una possibilità concreta di compagnia operosa dentro il mondo di oggi.
La comunicazione di cui si sente il bisogno sta nel passarsi un’informazione che penetri l’apparenza verso il fondamento della persona, là dove l’inquietudine del vivere attende di essere colmata: una notizia che possa rianimare la coscienza della responsabilità verso se stessi e verso gli altri.
“Ch’i’ho veduto tutto il verno
prima lo prun mostrarsi rigido e feroce,
Poscia portar la rosa in su la cima”.