Povertà non è non avere nulla, povertà è servire
Permettetemi di fare una premessa importante: io racconto un’esperienza. L’esperienza di un Paese che mi ha accolto e che adesso è la mia casa. Nel parlare farò riferimento a persone e volti che amo, non parlerò da un piedistallo ma vi racconterò di amici e fratelli.
Beatriz ci ha recentemente scritto dal Maryland per raccontarci quello che sta facendo e per ringraziarci nuovamente per l’aiuto che gli abbiamo dato 15 anni fa quando si era fratturata il femore. Se non fosse stato per quell’aiuto forse oggi non riuscirebbe nemmeno a camminare. Beatriz è cresciuta in un quartiere marginale e misero di Santa Tecla, in El Salvador, mentre oggi vive negli Stati Uniti con suo marito e due bambini.
Carolina ha una sartoria che fornisce di uniformi scolastiche tutta la comunità. Ogni volta che ci vede ci ringrazia per il corso di taglio e cucito che ha frequentato quando era ancora giovanissima.
Venti anni fa (nel 1997), per l’iniziativa e la passione del prof. Giovanni Riva, è nata l’“Aula de sosteño escolar y humano – Las Abejitas” che opera a Santa Tecla, una città collegata a San Salvador, capitale di El Salvador. Uno dei lavori più impegnativi che stiamo conducendo è nella zona marginale “Las Margaritas”, rivolto prevalentemente ai bambini e agli adolescenti. Questa zona è popolata da circa 300 famiglie che vivono in condizioni così misere che è difficile descriverle. Nel 1997 abbiamo cominciato dal nulla, con la spinta del Prof. Riva, un corso di taglio e cucito con 7 macchine da cucire, una maestra ormai in pensione e molti volontari con una gran voglia di fare. Parecchie ragazze sono accorse, ma molte di loro, essendo ragazze madri, non potevano frequentare il corso avendo i bambini da accudire. Per andare incontro a questa necessità decidemmo di occuparci di quei primi bambini. Oggi “Las Abejitas” è frequentate da 50 bambini. Si tratta di un centro di accoglienza completo in cui i bambini ricevono assistenza scolastica, sanitaria, alimentare e soprattutto un’assistenza sociale nelle spesso difficili situazioni familiari in cui sono costretti a vivere.
In El Salvador esistono circostanze per cui i giovani sono costretti a vivere per lo più la condizione della strada fin da bambini. Se si vive nelle “zone marginali” – come vengono chiamate perché ai margini della città e dello sguardo – risulta impossibile trascorrere la giornata in casette fatiscenti per lo più di lamiera, con la terra come pavimento e in un unico ambiente spesso privo di arredamento indispensabile (come un tavolo su cui appoggiare il quaderno o il piatto da cui si mangia). Le zone sono, ovviamente, pericolose per via della stessa miseria della gente e delle bande criminali che proliferano nella zona, che si chiamano “maras” e sono violentissime. I nostri volontari non corrono pericolo, perché siamo già molto conosciuti da tutti, ma per tutti gli altri le zone in cui operiamo sono pressochè inaccessibili. In molte zone del Paese c’è, poi, carenza assoluta di organizzazione sanitaria a fronte di una disastrosa condizione igienica e a problemi di malnutrizione, se non addirittura denutrizione. Proliferano così epidemie di dissenteria, febbri tifoidee, dengue, epatite, chicunguya e sika, che sono febbri violentissime ormai molto frequenti in El Salvador e molto difficili da curare, al punto che le irritazioni della pelle e il dolore alle ossa durano anche per vari mesi. Vista la mancanza di mezzi per permettersi l’accesso alle strutture più qualificate, nelle zone in cui operiamo esistono “curatori” i quali propongono improbabili cure artigianali che spesso peggiorano la situazione.
Molti parlano di amore verso i più poveri o di avere per loro una preferenza ma, come ci ha educato il nostro fondatore, non è possibile amare un gruppo generico di persone se non si ama ognuno di loro. Evocare un amore generico per le persone più povere o emarginate è molte volte uno strumento usato per ottenere preferenze o qualche tipo di potere o rilevanza sociale. Amare le persone significa, invece, rimanere loro vicini e affrontare insieme le situazioni più difficili. Così siamo stati educati alla solidarietà da chi ci ha preceduto e così oggi siamo un punto di riferimento per le persone che vivono nella zona in cui operiamo. Il nostro lavoro si fonda, non solo sulle risorse che abbiamo a disposizione, ma sull’amicizia per cui quando qualcuno ha una necessità o un problema, quando si ammala un bambino o un anziano, quando negano la carta d’identità per un contrattempo in anagrafe, quando c’è bisogno di un paio di scarpe o di una giacca elegante per il matrimonio di un figlio, per ogni tipo di necessità siamo solleciti nell’andare incontro alle persone che chiedono aiuto.
Ogni giorno a “Las Abejitas” vari bambini e bambine di età comprese tra i 2 e i 15 anni sono aiutati a fare i compiti di scuola utilizzando la biblioteca che abbiamo allestito. Ci troviamo spesso a dover studiare le tabelline, fare una ricerca di scienze e contemporanemanete controllare un altro che scrive un tema. Appena i bambini hanno finito un altro giovane volontario organizza il gioco insieme. Anche questo è importante se si valuta l’ambiente povero e conflittuale in cui vivono con i loro genitori e nel quale lo stare insieme significa, per spirito di sopravvivenza, l’approfittarsi l’uno dell’altro.
L’originalità del progetto risiede anche nel fatto che coloro che lo realizzano sono studenti universitari che si turnano ogni giorno per stare vicini a questi bambini. In questo modo, l’insegnamento è frutto di una vicinanza e di un accompagnare coloro che hanno più bisogno. E non solo i bambini vengono aiutati ma anche i volontari sperimentano un tipo di lavoro non dettato da logiche di guadagno e di potere, ma dal desiderio di essere compagnia con gli altri.
Karen, una giovane volontaria, dopo una lunga gionata di lavoro, mi ha confidato di essere molto felice non tanto e non solo per avere fatto del bene, ma soprattutto per avere passato un giorno intero senza pensare a se stessa.
La giornata tipo inizia quando i volontari si riuniscono e vanno in ogni casa a prendere i bambini per accompagnarli all’autobus che li condurrà alla scuola. Iniziano, poi, le attività e il responsabile organizza i volontari in modo che ciascuno segua da vicino un determinato gruppetto di bambini.
Lo scopo principale del passare a prendere giornalmente i bambini direttamente a casa è quello di incontrare i genitori e familiari, per aiutarli ed accompagnarli nelle gravi difficoltà che vivono nel quotidiano. Grazie a questa frequenza giornaliera riceviamo la fiducia delle madri che ci affidano i loro figli e ci offrono il loro stesso sostegno. Infatti, anche le famiglie dei bambini sono coinvolte in modo attivo nel lavoro di “Las Abejitas”: alcune madri fanno a turno per accompagnarci ogni giorno, altre cucinano, una sarta confeziona materiale di vario tipo per le nostre attività, mentre un falegname ripara i banchi e le sedie.
Bilibardo ogni giorno partecipa al lavoro e si dedica ad accudire i bambini più piccoli che frequentano “Las Abejitas”. Attualmente studia il secondo anno della facoltà di disegno grafico all’Università Nacional di El Salvador. Ha 18 anni e quando cominciò a venire a “Las Abejitas” ne aveva appena 6, non era molto bravo a scuola, ma oggi è il primo della sua famiglia ad essersi iscritto ad una facoltà universitaria. Due mesi fa gli ho regalato alcune delle mie cravatte perché ci tenevamo che facesse bella figura agli esami.
Generalmente i più grandi si dedicano ai loro compiti di scuola che non riuscirebbero a fare a casa loro non potendo contare sulle minime risorse necessarie, come tavoli e sedie. Contemporaneamente sono impartite lezioni di recupero nelle materie in cui presentano maggiore difficoltà. Per ogni materia (ortografia, matematica, linguaggio, lettura) c’è un giorno nel quale si realizzano attività extrascolastiche specifiche. Le necessità di ognuno si identificano a partire dai voti che le loro maestre di scuola scrivono nei quaderni; parlando con loro si cerca di renderli coscienti dell’importanza di mettere un maggiore impegno nelle aree con maggiori lacune. Siamo così anche in contatto coi loro insegnanti.
Coi più piccoli, oltre ai compiti scolastici dell’asilo e della scuola materna, si realizzano tante altre attività educative affinché imparino a condividere e convivere con gli altri, poiché l’ambiente sociale in cui crescono non permette loro di coltivare questi valori. La violenza e la miseria è già di casa.
Alla fine della giornata ad ognuno dei bambini è chiesto di lasciare in ordine quello che ha utilizzato affinché impari a curare le cose e ad essere ordinato in tutti gli aspetti della sua vita. Dopo ció, accompagniamo nuovamente ognuno a casa sua.
Chi anni fa ha iniziato ad aiutare “Las Abejitas” quando ancora studiava in università, oggi porta avanti questo impegno preoccupandosi ogni giorno del materiale necessario, dei permessi, dei trasporti, dell’organizzazione e dei locali. Inoltre, il sabato pomeriggio, quando finalmente possono riposare dagli impegni lavorativi, si recano a dare il loro aiuto trascorrendo il pomeriggio insieme ai bambini.
Come avrete intuito, il lavoro è frutto del coinvolgimento di tanti soggetti: universitari che aiutano tra una lezione e un esame, giovani studenti delle scuole superiori che danno qualche pomeriggio libero, famiglie che ci appoggiano in mille occasioni, professori universitari o di scuola, medici e infermieri, famiglie dei beneficiari e professionisti di vario livello. Indipendentemente dalle loro possibilità economiche tutti costoro sono parte fondamentale del lavoro, senza di loro non potremmo proseguire nella quotidianità, fatta soprattutto di semplici rapporti con le persone, con le famiglie dei bambini, coi loro maestri, con i vicini, con gli stessi bambini e i loro affetti più cari.
Fin dagli inizi chiamiamo questa nostra realtà, una “comunità educante”. Si educa attraverso la propria umanità e non è possibile farlo altrimenti, ma, negli anni del lavoro che abbiamo deciso di realizzare insieme, ognuno di noi ha preso coscienza della necessità di essere educato lui per primo a un tipo di rapporti diverso. Così la comunità, questo nostro operare insieme, educa gli educatori affinché possano essere uomini e donne stando accanto ai quali i ragazzi possano sentire di diventare grandi, nella loro umanità, nel loro contributo al contesto sociale, nei loro desideri e progetti.
In sintesi, il lavoro consiste nell’affrontare insieme i problemi che sorgono; per cui, col tempo, sono nate le giornate mediche, le “brigadas dentales”, le settimane della nutrizione, tutti progetti sorti dalla passione e dalle esigenze che sempre più ci interpellano.
Nell’anno 2001 abbiamo iniziato a realizzare, ogni due mesi, con l’aiuto di medici salvadoregni, visite pediatriche gratuite cui accedono bambini di ogni età. La maggioranza di essi non ha mai avuto una visita medica. Pertanto, si è cominciato un lavoro di censimento sanitario con schede personali documentali delle visite effettuate, delle diagnosi, delle prescrizioni mediche e degli esami suggeriti. La cartella consente di descrivere con precisione il controllo dello stato di salute dei bambini e indirizza ad un aiuto di tipo sociale per le famiglie che necessitano di sostegno nell’acquisto dei farmaci o nei successivi procedimenti diagnostici. Inoltre, consentono di assicurarci del loro stato nutrizionale e delle loro carenze alimentari o igieniche che spesso sono causa di diverse malattie più o meno comuni.
C’è sempre più bisogno di nuove strutture adeguate, equipaggiate di sufficienti requisiti di sicurezza igienica e di riservatezza; loro non vanno all’ospedale e noi portiamo in mezzo a loro l’ospedale.
L’afflusso è enorme (superiore al centinaio di persone ogni giorno). Appena giunti i bambini vengono pesati e ne viene misurata l’altezza per aggiornare la loro cartella. Si insegna alle madri e ai bambini norme igieniche come la pulizia dei denti (regalando a tutti i bambini spazzolini e dentrifici) o il lavaggio delle mani prima dei pasti. I bambini vengono visitati solo con la contemporanea presenza delle mamme che devono imparare dal medico oltre alle modalità di cura anche molte norme di comportamento e di prevenzione delle malattie. Ci sono i dentisti a realizzare le “brigadas dentales” durante le quali visitano e curano i bambini e i più grandi per i quali sarebbe addirittura impensabile pagare visite specialistiche di questo tipo.
L’esperienza fatta con il consultorio pediatrico ci ha subito messi di fronte al crescente numero degli indici di denutrizione, per cui abbiamo iniziato a realizzare le “settimane della nutrizione” rivolte a bambini e genitori. Ai bambini diamo merende nutritive tutti i giorni di quella settimana. I genitori vengono a scuola e ogni giorno ricevono una lezione su igiene, nutrizione, primi ausili, ecc. Alla fine della settimana genitori, bambini e volontari, si siedono insieme e senza differenze tra loro condividono un pranzo. Si tratta realmente di una comunità educante, poiché la coscienza del bisogno di essere, personalmente, educati e accuditi è viva tanto in chi lavora come in chi viene da noi per essere aiutato.
L’analfabetismo e la miseria portano con sè anche una ignoranza di fondo. Le persone per la loro umiltà sono spesso soggette a truffe, ed anche quando nessuno vuole approfittarsi di loro, non hanno modo di affrontare problemi semplici di burocrazie e legalità che diventano per essi insormontabili. Per esempio, è molto comune che a un contadino di una certa età, lavorando a mano la terra, scompaiano temporaneamente le impronte digitali. Non potendo essere rilasciata la carta d’identità a chi non le ha essi restano senza documenti. Per tal motivo, non possono avere conti nelle banche, accedere ad aiuti o piccoli prestiti per la semina, non vengono iscritti al sistema sanitario nazionale e non possono avere un contratto di lavoro. Per risolvere il tutto basterebbe andare da un medico e richiedere un certificato spiegando il perché della mancanza di impronte digitali, ma nessuno lo sa. Vivono perciò come una disgrazia inevitabile questa situazione e nessuno si prende la briga di andarglielo a spiegare. Ma non solo le impronte digitali, anche errori negli atti di nascita (all’ordine del giorno nei paesini più piccoli), compravendite di terreni mal fatte, contribuiti mai pagati, eredità irrisolte, e per tutto questo si è creato un’equipe di avvocati e notai che realizzano “Giornate di Assistenza Giuridica Gratuita” nei paesi poveri e in località rurali di El Salvador.
Per prima cosa, chi arriva viene ricevuto da un avvocato che, dopo aver ascoltato brevemente di che si tratta, utilizza una scheda che lo aiuta come guida nelle domande da porre. Infatti, il dialogo è tutt’altro che facile perché le persone sono di condizioni così umili che spesso non riescono ad esprimersi correttamente ed è necessario indagare a fondo per evidenziare il problema. Una volta fatto questo si deve offrire una soluzione e spiegare alla persona nel dettaglio cosa deve fare. Anche in questo caso la cosa è tutt’altro che facile. Va tenuto presente che anche lasciare cose scritte a volte serve poco perché si tratta di analfabeti. Con amore si spiega come devono comportarsi e li si fa ripetere due o tre volte per assicurarsi che abbiano capito. Ci vuole anche molto tatto, ovviamente. A volte ci si trova davanti a situazioni molto gravi o difficili. Nei giorni successivi si cerca di dare seguito ai casi più impegnativi, nei quali la persona non può essere lasciata sola.
Tutto questo lavoro è possibile anche grazie all’aiuto dell’Associazione “I Santi Innocenti” che con costanza sostiene tutte le nostre difficoltà e ci accompagna da vicino. Tanto è stato fatto e molto c’è ancora da fare.
Amici di Tegucigalpa e Città del Guatemala hanno voluto iniziare a loro volta un lavoro con i più bisognosi e hanno preso l’iniziativa di dedicare un po’ del loro tempo a condividere le necessità dei negozianti dei mercati delle loro città. Costoro, occupati nella gestione delle proprie vendite, non possono dedicarsi ai propri figli. Abbiamo chiamato questa attività “Libros Libres”: si tratta di letture, giochi e canti con questi bambini lasciati soli nelle piazze.
Siamo convinti che le attività siano buone quando sono l’espressione di un amore. Se non è così dopo un certo tempo ci si stanca e si lascia perdere. Se uno ama qualcuno o qualcosa sente il desiderio di agire e muoversi e tutto quanto accade trova un significato, al punto che in questa azione di amore anche i sacrifici non vengono percepiti come tali.
Molti in questa giornata hanno chiesto ai relatori: noi cosa possiamo fare?
Il lavoro non è solo il sudore della fronte ma un’energia posta al servizio di un’idea. Più che “solidarietà”, la potremmo chiamare “amicizia”. Incontrando le persone, i compagni in università, i colleghi del lavoro, i più poveri e i carenti di tutto, i più benestanti e facoltosi, si nota che l’unità di fondo è il desiderio delle persone di essere amici e di non essere soli. La solidarietà non è un valore generico o morale, è invece l’avvenimento dell’amicizia. Ognuno si realizza in un determinato clima di amicizia dove trova una corrispondenza alla propria persona. Laddove si creano relazioni di amicizia uno si sente più realizzato. Un contesto di amicizia costituisce la perfezione dell’esistenza e se tutto avvenisse in tale contesto le relazioni normali di convivenza non porterebbero che alla pace.
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