Non tutto ciò che è giusto è umano. È forse umano l’ingiusto?
C’è a Ventimiglia un sentiero che si inerpica sulla scogliera che è diventato noto come “il sentiero della morte” attraverso il quale dal 2015, migliaia di profughi cercano di avventurarsi per uscire dall’Italia. A chi chiede loro se non considerano il pericolo di tale via, rispondono: “solo quanto già vissuto!”. Nel 2016, nella chiesa di San Antonio, con la Caritas, la Diocesi ha organizzato l’accoglienza. Sono transitate circa mille persone al giorno, 15.400 in un anno di cui il 10% sono donne, poi bambini e minori non accompagnati. Provenivano da 54 diversi Paesi: sudanesi, eritrei, etiopi, della Guinea, di altri piccoli villaggi africani. Dei quarantamila sbarcati in un anno a Ventimiglia, circa diecimila hanno trovato una sistemazione, degli altri non si sa più nulla. Sono “passati”? In agosto 2016 la Prefettura ha aperto un campo affidato alla Croce Rossa Italiana in cui i profughi vengono identificati e foto-segnalati. Spesso le generalità che forniscono non sono verificabili e per questo vengono respinti come clandestini. Questo termine, dice ancora il Vescovo, sottolinea soltanto la loro enorme fragilità umana cui “un fiorire ampio e di estrazione variegata di volontari cerca di far fronte”. I mediatori culturali sono stati preziosi per instaurare una relazione costruttiva.
Suetta giudica il fenomeno, generato da una estrema povertà, irrefrenabile; assurdo e ingiusto tentare di fare argine. La risposta vera è l’accoglienza e la condivisione. E, a chi sostiene che la soluzione sia di dare “aiuto a casa loro”, risponde che la cosa sarebbe opportuna purchè efficace e non marginale. Una solidarietà che arrivasse a rimuovere le cause della povertà e si occupasse di migliorare le condizioni di vita. Il Vescovo non esita a dire che “sono cause generate dal nostro modo di operare in quei paesi sia nel passato coloniale che nel presente”.