Le mani della libertà: “Suono la mia musica per regalare la speranza”
Di Monica Lanzoni
Nella serata dell’8 agosto il Tonalestate ci ha riservato un appuntamento musicale d’eccezione, invitando il celebre pianista siriano Aeham Ahmad. Le fotografie che lo ritraevano suonare il pianoforte nelle strade cariche di macerie del campo profughi palestinese di Yarmouk, alle porte di Damasco, fecero il giro del mondo qualche anno fa, proiettandoci al centro dell’umanità distrutta ma carica di speranza del popolo siriano.
Aeham, palestinese, dopo tre anni passati a Yarmouk, spingendo il carretto dello zio sul quale aveva fissato il pianoforte per portare la musica a tutti, decide di iniziare il viaggio verso l’Europa, attraverso quei sentieri carichi di dolore che siamo abituati a ripercorrere attraverso le immagini dei media e nei racconti di chi l’ha vissuto, dalla Turchia alla Grecia fino in Germania, dove tutt’ora vive con sua moglie e i suoi due bambini.
“Quando sono arrivato in Grecia, ci ha ricordato Aeham ieri sera, ho trovato un giornalista della Rai e io non capivo molto di quello che diceva perché non parlavo bene inglese ed ero appena arrivato dal Mediterraneo. Lui mi ha messo della sabbia sulla mano e mi ha detto “ma tu ti rendi conto che questa sabbia che hai tra le mani rappresenta la libertà”? e io non capivo niente perché il mio inglese era molto brutto all’epoca e mi ricordo che sorrisi e dissi “grazie grazie” senza capire molto di quello che mi stava dicendo”.
Aeham ha presentato i suoi brani musicali, che raccontano della sua storia personale, storia che richiama a quella di tanti uomini e donne che come lui hanno dovuto lasciato la Siria, fuggendo la guerra e la morte ma lasciando dietro di sé il proprio paese, le proprie origini, la propria famiglia. Uno dei brani s’intitola proprio I forgot my name.
Ho dimenticato il mio nome
Ho dimenticato il mio nome, le mie parole
Ho dimenticato la mia voce nel mio luogo
Ho dimenticato la strada per il Paradiso e per l’umano
verso la gloria che fu, Palestinese, Palestinese.
Sono siriano, la mia felicità e la mia infelicità insieme,
sono palestinese e sono siriano.
Tra un brano e l’altro, Aeham ci accompagna, ripercorrendo la sua storia, tanto particolare, ma che ci ricorda la storia di tanti altri; sono oggi 7 milioni i Siriani che hanno lasciato il paese; Aeham ha aspettato 5 anni prima di fuggire, prima la decisione poi la ricerca dei canali per poterlo fare; è il solo della sua famiglia a essere riuscito a fuggire “personalmente ho molti amici ancora in Siria in prigione, mio fratello e i miei cugini, mio zio e le mie zie. Ora che vivo in Germania con i miei figli voglio dargli un futuro, che sia più bello di quello che ho vissuto io”.
I suoi testi sono carichi di memoria del suo paese, quella terra così devastata da tanti anni di guerra; quando la rivoluzione scoppiò, sette anni fa “sembrava ci portasse speranza, invece ha portato la guerra. Nel 2011 c’è stata questa rivoluzione e la gente ha iniziato a scendere nelle strade e nessuno faceva caso nel mondo a quello che stava avvenendo in Siria. Ora ci sono 25 mila persone nelle prigioni in Siria, c’è lo stato islamico e altre organizzazioni terroristiche”. Green pepermint è un altro dei brani che ci ha presentato:
Ogni essere umano richiama il popolo a ritornare in Siria.
mi ricordo della polvere delle rovine e la distruzione di quelle nuvole di tristezza che piovono (piangevano) dal cielo che è ancora nascosto qui, e mi ricordo anche che ci sono molte persone che aspettano per la speranza e per l’attesa che si realizzi la promessa del sollievo. Ricordo che c’è una menta dolce che è ancora lì ed è ancora verde e ti sta aspettando. E sta aspettando che tu la bevi, ma non l’acqua, ma che tu beva dalle sue lacrime, che sono riempite di tristezza ma anche di gioia ogni giorno. Ricorda il tuo paese, Siria
ed è quello che fa Ahmad, ancora oggi. Porta in giro per il mondo la sua musica e le sue canzoni, per raccontare ciò che succede nel suo paese, per dire delle ingiustizie che il conflitto ha portato con sé per il popolo siriano, ma anche delle speranze che giacciono nel cuore di questo popolo, come nel cuore di ogni uomo di fronte ad una realtà che ci spingerebbe a non domandarci più per il bene. Ma il desidero del bene, come per Aheam il bisogno di suonare la musica per il suo popolo, non è stato più possibile contenerlo.