Il coraggio è rischiare la libertà
Walter Benjamin diceva che ci troviamo sempre davanti a dei crocevia e la nostra azione deciderà che tipo di uomo vogliamo essere e se andremo verso la barbarie o la civiltà. Dovremmo allora interrogarci su cosa significhi essere “civilizzati” e chi sia realmente il vero barbaro, oggi.
Michel Warschawski, giornalista israeliano e militante da anni per la soluzione del conflitto israelo-palestinese, propone questa riflessione, così carica di significato per il vivere dell’uomo contemporaneo, al centro del suo messaggio in chiusura dei lavori del Tonalestate 2017.
Esiste una certa idea di progresso, che si è insinuata in noi fin dall’antichità, secondo la quale il mondo viene rappresentato come eterna differenza tra barbari e civilizzati. Negli anni 20 si parlava di choc della civilizzazioni e il mondo era diviso in due: da una parte la civiltà giudeo-cristiana e dall’altra il barbaro, il diverso, un’immagine che è andata consolidandosi nel tempo, e che ha finito per indicare il barbaro come colui di cui bisogna avere paura e disprezzo. L’islam è stato identificato poco a poco come il nemico della civiltà. Ci sono certi capisaldi che si sono insediati nella società e a nulla sono valsi i gridi di allarme lanciati nel corso del secolo scorso da Benjamin a Rosa Luxembourg. Oggi ci troviamo nell’epoca dello choc della barbarie.
Davanti a questa disperazione, è ancora possibile scommettere sull’essere umano? Warschawski ne è certo, anzi è proprio il compito degli uomini della nostra epoca quello di essere uomini coraggiosi e di riscoprire cosa sia il vero coraggio. Il coraggio, diceva il giornalista israeliano, “non è l’avventura, non è correre in guerra con il fucile sottobraccio sotto il fuoco dei proiettili; questo coraggio lo possono avere tutti. L’uomo di coraggio è quello che non ha paura di andare contro corrente, di essere oggetto di scherno e dell’ironia degli altri”. Si tratta, in fin dei conti, di rischiare sé stessi contro la mentalità dominante.
Isaiah Leibowitz, un intellettuale ebreo, disse dei soldati israeliani che non accettarono di combattere contro la guerra dei Sei Giorni, che erano veri eroi, perché non avevano avuto paura di andare controcorrente, di essere anche oggetto di scherno, trattati come retrogradi e traditori, perché avevano ascoltato la propria coscienza. Per questo il vero barbaro non è il terrorista, o l’Islamico, come la mentalità dominante ci spinge a pensare, piuttosto colui che rischia la sua libertà, chi non si accontenta di un quieto vivere ma che va contro al pensiero dominante. In nome di quell’istinto di solidarietà umana che è nel cuore di tutti gli uomini, bisogna mettessi in gioco, dire quello che è giusto, anche se si va contro corrente; d’altra parte, continua Michel Warschawski nel suo intervento ” sono i pesci morti che seguono la corrente, quelli vivi nuotano contro-corrente”.
Il relatore ricorda le parole dell’Arcivescovo di Bologna Monsignor Matteo Zuppi, che intervenendo al convegno il 9 agosto, aveva parlato di speranza, citando Giovanni XXIII che metteva in guardia contro i profeti di sventura, coloro che annunciano un avvenire triste e senza speranza. “Il profeta della sventura ha un compito facile, ci conforta nella passività e nella rassegnazione, per cui se noi non possiamo cambiare le cose, sarebbe meglio che restassimo a casa”.
Se un cristiano può, per fede, andare oltre la rassegnazione, “chi non ha la fede, come me, cosa fa? a cosa mi attacco?” chiede provocatoriamente Warschawski . Per rispondere egli torna alla sua esperienza, quella della generazione militante attiva negli anni 70 in Israele, che non era certamente una maggioranza, ma che aveva fede in un futuro migliore. Militanti che non sono mai apparsi come dei vincitori, al contrario, sono stati spesso oggetto di derisione e scherno, ma che hanno deciso di non rassegnarsi davanti alla mentalità dominante e hanno scommesso sul futuro. “Non si scommette mai sul peggio, sempre sul meglio”, per questo occorre mettere in gioco la propria libertà, non mettersi da parte e non avere paura dello sguardo ironico e critico dei profeti di sventura, ma scommettere sul meglio, capaci di sopportare quello sguardo di ostilità che ci vorrebbe rassegnati e ripiegati sul quieto vivere, piuttosto che uomini di coraggio.