Il potere della bestia
Il libro biblico dell’Apocalisse suggerisce ad Alberto Melloni, che interviene nelle riflessioni sulla storia con una conversazione dal titolo “tribunalizzazione della storia”, una logica simbolica di interpretazione dei fatti. Il giudizio storico attuale (con un nota bene sul significato etimologico di giudizio, di derivazione greca per “crisi”) ha sostituito la teodicea che spiegava il male del mondo secondo la bontà di Dio. Il posto di Dio lo prendono gli uomini con una duplice ermeneutica: evocazione del male del passato per allontanare quello di oggi così che la deprecazione aiuta ad assolversi; riduzione della colpevolezza a dimensioni talmente infime da renderla irrilevante, così nessuno è più colpevole. Soffermandosi sui processi seguiti alla seconda guerra mondiale e alla Shoa e sul giudizio storiografico delle posizioni degli Stati e del Vaticano che comprende l’implicazione dell’opinione pubblica, la conclusione di Melloni è che compito della storiografia non sia quello di erigersi in tribunale che tanto più giudica, più assolve, ma ricostruire un punto di verità, attraverso le fonti, dentro i fatti. Si può, in tal modo, riuscire ad interpretare i bruta facta, affidandosi a una logica simbolica biblica per cui il male appartiene a una bestia che ha capacità straordinarie tra cui tener insieme tante cose nella bestemmia della menzogna e dell’inganno.
Non è mancata una riflessione anche sul lavoro e sulle mistificazioni che si sono succedute a proposito della concezione del lavoro umano nel corso dei secoli. Lo storico Aldo Giobbio percorre la storia fin dalla Guerra dei Cent’anni, attraverso la migrazione dalle campagne durante la Rivoluzione industriale e la moderna organizzazione del lavoro, documentando che il potere non ha mai rinunciato a procurarsi le prestazioni necessarie secondo le forme che più “servono” indipendentemente dalla condizione di “chi serve”. Il salario, che è lo strumento di compenso della prestazione, è stato cose molto diverse. Dalla condizione per poter lavorare come un qualsivoglia altro attrezzo, ad una sorta di permesso di sopravvivenza, ad una forma di ticket per ritirare un bene che ti fanno credere tale, ma sempre permane l’interrogativo sul motivo del lavorare, tanto più sanguigno quando chi lavora viene licenziato quando i conti non tornano. Giobbio racconta il soggetto del “venditore di medicine”, film di Antonio Morabito, soffermandosi su quella che definisce livrea, ossia l’abito scuro d’ordinanza di tali venditori che veicola la condizione di dipendenza. Tale logica attraversa l’organizzazione del lavoro sia essa in mani pubbliche che private e il drammatico trasferimento di profitti e perdite sugli uni e gli altri, sta sempre più comportando, di fronte alle difficoltà economiche attuali e alla necessità di massimizzare i profitti, l’abbandono della parte più debole che è quella dei lavoratori. Si sta prendendo la via di selezionare un modello di lavoratore più ricattabile sotto il profilo economico e più propenso ad adattarsi alla livrea. La gestione delle possibilità di accesso al lavoro è il mezzo più potente di controllo sociale. Ma, forse, siamo ancora in tempo per provare a cambiare direzione.