I credenti, attori positivi della storia
Angelus Novus titolava la giornata conclusiva di questa edizione dedicata alla storia.
Walter Benjamin si serve del celeberrimo dipinto di Klee, angelo della storia in atto di allontanarsi da ciò cui volge lo sguardo. “Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che gli non può chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro”.
E’ un futuro che hanno cercato di guardare, dalla posizione di credenti, gli illustri esponenti della fede islamica e di quella giudaica, il professor Kamel Meziti e il rabbino Yeshaya Dalsace, intervenuti durante la mattinata.
“O umanità, che abbiamo creato maschio e femmina, popolo e tribù..che possiate conoscervi” (Corano S.49 v 13). La formula coranica, citata da Meziti, introduce al fondamento del dialogo tra le alterità e alla costruzione di un’etica della responsabilità. L’altro è il mio simile non il mio antagonista, è uomo, e l’uomo va messo al centro di ogni preoccupazione affinché si possa dare un po’ di sollievo al suo bisogno. Chi crede nel Dio dell’amore non può rinchiudere la propria fede nel religioso, piuttosto deve concretizzarla in una azione che renda il mondo meno crudele e ingiusto. Ognuno abbia a portare il proprio mattone a questa costruzione.
Com’è stato più volte ripetuto da diversi Relatori, la memoria rivolge inevitabilmente al passato, e come per l’angelo può condurci, “ dove ci appare una catena di eventi a vedere una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto”. Così i bruta facta della storia si riversano come macigni sul dialogo tra gli uomini, come ha raccontato il dott. Dalsace, e diffondono nella memoria collettiva l’atteggiamento del sospetto e la foschia che nasconde il bene. Molti anni della storia del dialogo interreligioso sono ancora coperti da tale foschia, ma il cammino che Giovanni XXIII e Paolo VI hanno cominciato con il Concilio Vaticano II e che prosegue nel pontificato dei loro successori, convince l’esponente dell’ebraismo che “i problemi sono periferici e non alterano la qualità del dialogo”.
Finendo il suo intervento Dalsace si è unito all’invito alla conoscenza reciproca, spingendola al fondo per strappare definitivamente i veleni che ammorbano la convivenza.