ZIATEN Latifa Ibn
Nata in Marocco 52 anni fa, Latifa è la mamma di Imad, il paracadutista di trent’anni che lo scorso marzo fu la prima vittima di Mohamed Merah, il killer di Tolosa, giovanissimo terrorista che poi avrebbe ucciso altri due militari (tutti di origine maghrebina, “puniti” come ritorsione alla presenza francese in Afghanistan) e si sarebbe accanito contro i bambini di una scuola ebraica.
Bilancio della strage: sette morti e un Paese sconvolto. Mohammed Merah era nato e cresciuto in Francia e si era votato alla causa jihadista nello Stato europeo che incarna per eccellenza l’eredità illuminista del principio di laicità, dove vivono le comunità ebraiche e musulmane più numerose del vecchio continente (600 mila e circa 6 milioni di persone, rispettivamente): che cosa, dunque, non aveva funzionato? La cieca violenza fondamentalista del giovane scosse l’opinione pubblica francese e diede origine a un dibattito sull’apparente fallimento del modello di
convivenza sperimentato nel Paese.
Latifa, la madre di Imad, semplice cuoca di una mensa scolastica, in pensione, arrivata in Francia a diciassette anni per seguire il marito da cui avrebbe poi avuto cinque figli, con il cuore ancora gonfio di dolore per il suo lutto non accettò gli slogan, né di crogiolarsi nella sofferenza o nel desiderio della vendetta.
Raccolte le poche energie che le rimanevano, decise di andare a Tolosa, nella banlieue dove aveva vissuto l’assassino di suo figlio. Là, nella banlieue di Les Izards, la signora Latifa, sola con il suo velo musulmano in testa, fece un incontro sconvolgente: un gruppetto di ragazzi che parlavano dell’assassino come di un eroe dell’islam. «Per me fu uno shock. In quel momento compresi l’urgenza di agire, a partire dalla base, cioè l’educazione».
Da allora, Latifa non si è più fermata. E, insieme ai membri dell’associazione che ha fondato in memoria di suo figlio (l’Association Imad Ibn Ziaten pour la jeunesse et la paix), gira per le scuole francesi a raccontare la sua storia, a spiegare la propria visione della convivenza, a testimoniare che la sua religione è compatibile con la laicità. È il modo che ha scelto per mantenere una promessa fatta a suo figlio. «Imad mi aveva detto: “Mamma, se mi dovesse capitare qualcosa, conto su di te, non lasciarti andare, non arrenderti”. Io l’avevo ascoltato pensando che nessuna madre può accettare di seppellire suo figlio».
Ma un giorno, era l’11 marzo dell’anno scorso, il telefono aveva squillato. La signora Latifa era venuta a sapere così che Mohamed Merah, 23enne con doppia cittadinanza francese e algerina, aveva dato appuntamento a suo figlio con la scusa di voler comperare la sua motocicletta, e invece gli aveva sparato.
Tra gli obiettivi della sua associazione c’è la creazione di una «cellula d’ascolto religiosa multiconfessionale che intervenga nelle carceri così come nelle scuole, particolarmente quelle dei quartieri in cui la gioventù subisce la legge del non-diritto». Perché, come ha detto Latifa davanti al presidente Hollande durante una cerimonia in memoria delle vittime del terrorismo, «questi giovani hanno bisogno d’aiuto. Se non li sosteniamo, avremo degli altri Mohamed Merah».