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Dove l’uomo è afferrato invece di afferrare, conquistato invece di conquistare, noi siamo colloquio

8 Agosto 2013 Nessun Commento

 Il Cardinale Jean-Louis Tauran, Presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, in un messaggio inviato al Tonalestate scrive: “il dialogo interreligioso è una grazia o un rischio? E’ l’una e l’altra cosa! E’ una grazia, perché permette ai credenti di ricordare insieme al mondo d’oggi che “non di solo pane vive l’uomo”. E’ un rischio, perché possiamo essere un ostacolo a questo messaggio a causa dell’incoerenza della nostra vita di ogni giorno”.

Se il Tonalestate, da sempre, ha nel proprio programma uno spazio dedicato allo scambio fra esponenti delle diverse religioni è perché tale aspetto riguarda uno dei nodi centrali della convivenza tra gli uomini. Invitiamo pertanto a ripercorrere, negli archivi, il filo di un discorso che ogni anno approfondisce, arricchisce e matura. Invitiamo a soffermarsi sui nomi e le storie degli autorevoli esponenti delle tre religioni monoteiste che sono venuti al Tonalestate perché sono pietre miliari nel costruzione dell’incontro tra le fedi.

Quest’anno, il tema offriva l’occasione per sapere di più e meglio sulle parole e, in esse, sul significato della tradizione e dell’esperienza religiosa di ebrei, cristiani e mussulmani.

Sono intervenuti: Philippe Haddad, rabbino della Communauté Les Ulis di Francia; Roberto Catalano, responsabile del centro per il dialogo interreligioso del movimento dei focolari; Adnane Mokrani, docente del PISAI e presidente del Centro interconfessionale per la pace.

Nell’ebraismo la parola è di primaria importanza giacchè tutto il creato nasce dalla parola di Dio. Tutta la creazione parla di Dio che parla. Nella Bibbia, fin dalla Genesi, la parola è data per illuminare e nell’uomo l’espressione delle parole è la più straordinaria. E’ l’uomo, Adamo, che dà il nome alle cose create. Il nome non è semplice definizione: è la consistenza di un essere. Ma quando Dio pensa all’uomo lo pensa immediatamente in una relazione: “non è bene che l’uomo sia solo”. Attualizzando, il rabbino Haddad ricorda come il termine ebreo alimenti l’immaginario perché è la figura dell’altro per eccellenza e sostiene che per uscire dai più grandi pregiudizi che le parole stanno generando, occorre trovare un linguaggio rinnovato che consenta di arrivare al riconoscimento reciproco. L’unicità propria di ogni essere porta nella relazione la parte che manca ad ognuno e arricchisce pertanto la comunità. E’ questa una grande sfida educativa da riprendere con decisione perché se la prima parola del linguaggio di un bambino è “io”, la struttura della comunicazione è orientata al “tu”: ti amo. E’ tempo di riflettere sulla nostra umanità, nel diluvio delle informazioni, per orientarci verso la costruzione di un mondo diverso, migliore. Tanti sono i mezzi di cui disponiamo, ma la domanda dell’uomo rimane, al fondo, quella del senso, non dei mezzi. Internet può rispondere alla curiosità del conoscere, ma sarà il dialogo che potrà aprire il cuore degli uomini. Gli scambi religiosi sono portatori di questa speranza: uscire dalla propria casa per aprirci alla verità e alla bellezza dell’altro.

Non si perde tale lettura sull’uomo neppure nell’intervento di Adnane Mokrani il quale introduce il pubblico presente a qualche più elementare passaggio del significato dei segni e del linguaggio nel Corano. “Āya” pronuncia il Libro e così dice ugualmente del segno cosmico, umano e della Scrittura. Ogni volta che c’è un incontro vero con tali segni, Dio dice qualcosa di sé. Un segno è come l’indicazione di una strada, l’invito a un’esperienza di vita. Quando poi si guarda al linguaggio, esso ha tre livelli: quello liturgico che indica cosa fanno i mussulmani; quello della teologia o filosofia che indica cosa pensano i mussulmani e quello dell’esperienza religiosa fatto del silenzio, dello sguardo. Quando il dialogo diventa un imbroglio? Quando uno strumento di vita e di pace? Il dialogo è un modo d’essere e d’agire che abbraccia i tre livelli del linguaggio e non semplicemente una necessità per gestire i rapporti tra diverse comunità e risolvere i problemi di una convivenza in crisi. L’imbroglio nasce quando cresce il “rigore” religioso che genera forme di orgoglio conservatore, esclusivista. Questo aspetto è portatore del virus della violenza nazionalista o religiosa. La conclusione è simile alla precedente: ripercorrere il cammino educativo non solo nelle università e nei centri di ricerca ma inserendolo nella struttura delle relazioni e del sistema della convivenza umana.

Roberto Catalano vuol parlare del silenzio. Prende le mosse da uno sguardo su un mondo che non ci aspettavamo di cui descrive nodi delicati come la politica, il revival religioso con forme di fondamentalismo, la deterritorializzazione della religiosità, la crisi delle identità. C’è difficoltà a cambiare atteggiamento nella relazione tra gli uomini. Ecco l’indicazione del silenzio. L’atteggiamento da ricostruire è quello dell’ascolto che richiede un certo silenzio di sé. Tale genere di silenzio non è passività ma generatore del rapporto in quanto consente di “apprendere dell’altro ciò che l’altro esprime di sé, non quanto decido che l’altro sia”. Tale silenzio di sé ci mette forse un po’ da parte, perché è “dare la propria vita per l’altro che ci sta di fronte”. Tale è l’atteggiamento che consente il dialogo ad ogni livello, ma certamente fra persone di culture e religioni diverse. La costruzione di tale atteggiamento nuovo è compito di ognuno, l’iniziativa dipende da ciascuno.

Possiamo pertanto riunire tali importanti interventi nelle parole finali che ci sono state indirizzate dal Cardinale Tauran: “ A noi tocca creare, oggi e domani, le condizioni dell’incontro e della fraternità universale non al di là delle nostre differenze, ma con esse. Sì, in questo mondo effimero e ingombrato da tanti dei (fatti alla misura delle nostre ambizioni), possano tutti i credenti, assieme ai cercatori di Dio o dell’Assoluto, aiutare i loro fratelli in umanità ad avvicinarsi al mistero di Dio, questo indicibile mistero, “dove l’uomo è afferrato invece di afferrare, dove adora invece di ragionare, dove è conquistato invece di conquistare”.

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