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Rifondare la laicità

9 Agosto 2012 Nessun Commento

Percorrere, come si è fatto in questa edizione del Tonalestate, le esperienze di molte vite e degli innumerevoli tentativi di partecipazione al bene comune, consente di interrogarsi, con onestà e libertà dalle ideologie, sulla laicità, ossia sulla convivenza di tutti e di tutte le parti. La rottura del sistema delle relazioni internazionali, accelerato da questa crisi ha, positivamente, indicato le molte “parti”, le molte culture, tradizioni, fedi, le diverse forme di rivolta o dissenso.

Proprio tale diversità, sapientemente ricercata nello sguardo del Tonalestate 2008 quando si parlò di identità negate, ha indicato, nelle parole dei Relatori di questa edizione e nelle molte domande loro rivolte dai giovani in ascolto, che occorre imboccare una via da percorrere insieme, via sulla quale nessuna parte può avanzare “pretese”, se non quella, che non è una pretesa ma una giustizia, di chiedere che la regola della convivenza comune permetta, ad ogni esperienza, la libertà di esistere e di esprimersi, alla pari di tutte.

La scelta di ogni vita porta a suoi propri percorsi e, non sono mai le diverse modalità a porre obiezione. Si sono conosciute più a fondo le personalità di letterati come Francisco Prieto che dice di scrivere per un’insopprimibile passione di comprendere gli altri portata fino alla compassione; di mistici, come Charles de Foucauld, raccontato da Angela Volpe, nella sua concreta e fisica ricerca di una realtà misteriosa; di Jacques Sephiha, proveniente da una numerosa famiglia di ebrei turchi che visse la persecuzione nazista in modo feroce e che, scampato, divenne uomo dell’internazionalismo in terra araba, spagnola, con il fronte di liberazione algerino, per la libertà dei popoli vietnamita, sovietico e dei palestinesi. Dominique Vidal, che ha raccontato l’avventura di questa vita, raccoglie dal suo esempio la certezza che “la via della solitudine non è garantita al contrario di quella che ci vede insieme”.

Il cardinale Giovanni Battista Re ha ripreso l’esempio del cardinale vietnamita Van Thuan e della sua resistenza alla persecuzione comunista, uomo cui bastava essere presente, costantemente, coraggiosamente senza abbandonare il posto, anche fosse nelle prigioni di Saigon, in cui la vita lo portava. Diceva che: “il peccato della società è ora più feroce, cinico, distruttore che nei secoli passati. C’è più tirannia, più oppressione, più violenza e milioni di uomini piangono e chiedono giustizia e, in questo, so che Tu mi interrogherai sul peso d’amore lasciato in ogni giorno della mia esistenza”.

Aldo Giobbio ha confrontato le esperienze di Emilio Guarnaschelli e di Ernesto Buonaiuti, definiti due “oblati” in campi molto diversi: l’uno militante comunista fucilato in Siberia nel 1938 per l’opposizione alla regime staliniano e al suo rifiuto di abbandonare L’Unione sovietica, cosa che gli avrebbe salvato la vita. Il secondo, storico del cristianesimo, sacerdote e professore ordinario di storia del cristianesimo nell’università di Roma dal 1919, colpito da scomunica nel 1926. Giobbio ha denunciato il clericalismo che si manifesta nell’organizzazione che si asside sopra l’ideale e nei funzionari che soppiantano i carismatici. Anche il mercato si sta dimostrando una forma di clericalismo, per una sua pretesa sacralità sopra i bisogni reali degli uomini, così come le esperienze delle due figure presentate da Aldo Giobbio furono vittime dei chierici di sistemi deformati rispetto alla loro più autentica e profonda radice.

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