La pace nelle mani delle donne
Ogni anno, partecipare al Tonalestate consente non solo di conoscere situazioni e esperienze del mondo, ma piuttosto di condividerle e perfino creare relazioni destinate a perdurare nel tempo. Chi viene a parlare racconta ma soprattutto comunica un lavoro in atto, lavoro che può essere seguito e partecipato nelle tante modalità che si progettano durante la vicinanza in queste straordinarie giornate.
Quest’anno, due donne sono state protagoniste. Una è una donna araba vissuta in terra di Israele e Palestina: Zahira Kamal. La sua vita è stata raccontata da Anwar Abu Eisheh, professore di diritto civile all’Università Al Quds di Hebron e responsabile dell’associazione France- Palestine. Anwar ha titolato il suo intervento: davanti all’ideale non si cede. Zahira era nata nel 1923 quando la Palestina era ancora sotto il mandato britannico. Si dedicò da giovanissima alla difesa dei diritti del suo popolo, partecipando alle manifestazioni contro l’occupazione inglese. La guerra del 1948 e la nascita del nuovo Stato di Israele la costrinse a rimanere separata dal marito e la convinse a continuare un impegno che sentiva prioritario per un senso illimitato della responsabilità verso gli altri. Dedicò tutta se stessa al volontariato e all’educazione soccorrendo i bisogni e lottando perché l’ignoranza e il pregiudizio non fossero causa di violenze verbali e fisiche. Tratto decisivo della sua figura fu la sua incrollabile tenacia e fedeltà che non le permisero mai di abbandonare il compito cui si era dedicata. Le situazioni mutavano attorno a lei senza trovare la via per la convivenza e la pace così si spese interamente insieme a quel movimento di popolo che lotta ancora oggi perché ci sia sulla terra israelo-palestinese la possibilità della convivenza fra diversi.
Dominique Vidal, rispondendo alla domanda di un ragazzo che chiedeva della politica israeliana e a lui personalmente chiedeva conto della sua origine ebrea a confronto con il suo impegno anti razziale, rispondeva che gli è insopportabile che alcuni in nome “dei miei e delle vittime dello sterminio nazista abbiano deportato altri e abbiano moltiplicato le guerre; che in nome della sofferenza dei miei si faccia una politica di odio e aggressione. Una politica che non giova nemmeno a Israele che dovrà progressivamente essere messo di fronte ai suoi errori dalla comunità internazionale”.
La seconda donna vive in Giappone. Si chiama Harumi Kondaiji ed è assessore della municipalità di Tsuruga. Il 16 giugno scorso ho ricevuto il premio Aloisio (settima edizione) da parte della Commissione per la giustizia e la pace della diocesi cattolica di Nagoya. Ha spiegato i tre scopi del suo impegno politico: lavorare per chi è in una posizione di maggior debolezza; senza affiliarsi a nessun partito o gruppo- “io sono solo per i cittadini”. Terzo: sorvegliare severamente l’uso dei soldi che i cittadini pagano in tasse. Si occupa di sanità, è impegnata direttamente in progetti per il sostegno alle donne lavoratrici con figli, donne che affrontano la violenza domestica o la discriminazione sul lavoro. Dopo quanto avvenuto a Fukushima ha iniziato anche un lavoro di sensibilizzazione e ricerca di soluzioni alternative all’uso dell’energia nucleare.
Accompagnavano Harumi, Mina Hirano Satoji, studentessa alla università Nanzan e Yoshitaka Suzuki, educatore e assistente di disabili. I due giovani hanno presentato un dettagliato rapporto sulle conseguenze sociali, sanitarie e ambientali dell’incidente alla centrale di Fukushima non solo per il Giappone. Tale rapporto è l’esito di un lavoro condotto tra i giovani, per iniziativa diretta di essi e con il desiderio di non essere indifferenti a quanto accade nella società in cui vivono, senza affidarsi incondizionatamente alle informazioni dei media o alle fonti governative.
In Giappone deve scoppiare di più,più di una centrale
Atomica l”umanità di persone come quelle intervenute.