Venefica aria del tempo
Il secolo scorso ha lasciato nella storia una terribile scia di persecuzione. Una traccia che non pare essersi interrotta nonostante le grandi speranze con cui si volle salutare il Duemila. Ci rimane abituale conteggiare il numero dei morti, cifre quasi inimmaginabili, ma ciò che più interroga la coscienza è la sventura dello sradicamento della dignità umana, perfino l’annullamento del “nome” attraverso cui ognuno è riconosciuto nella sua unicità e identità.
Giovanni Battista Re ha usato il termine martirio per raccogliere in una dolorosa sintesi l’esperienza della persecuzione nei confronti dei cristiani del XX secolo. Non gli è stato possibile citare tutta la sofferenza che le ideologie hanno provocato, soltanto ha potuto ricordare qualche più profondo abisso della storia del 900: la storia messicana e quella spagnola e le due grandi follie del secolo, il nazismo e il comunismo sovietico. Il suo commento non ha dimenticato l’impegno con il quale il Papa Giovanni Paolo II ha inteso mantenere alta la memoria dei numerosi testimoni della fede che hanno pagato il prezzo della vita. Per desiderio del Papa, a Roma presso la Chiesa di San Bartolomeo, è stato creato un archivio che raccoglie lettere, segnalazioni, memorie, documentazione sui martiri che continuano ad essere una grande realtà anche contemporanea del cristianesimo.
La Shoah, uno dei più grandi genocidi del XX secolo, è stato ricordato attraverso il contributo di Dominique Vidal, storico e giornalista. Una nuova generazione di storici, nati al finire della seconda guerra mondiale, ha portato avanti un lavoro di indagine e memoria sulla Shoah a partire dagli archivi in Europa dell’est. Nell’opera “Gli storici tedeschi rileggono la Shoah”, Vidal documenta che, per comprendere il giudeicidio, è necessario iscriverlo all’interno del progetto nazista che includeva altri fattori. Innanzitutto il Lebensraum (lo spazio vitale) della Germania dell’ora coloniale e che prevedeva una germanizzazione (attraverso conquista, occupazione e sfruttamento) da parte dei Volksdeutsche (i tedeschi di matrice pura) verso gli Untermenschen (i sottouomini), intendendo in questo modo le popolazioni dell’Est Europa. Ebrei, zingari, malati mentali e slavi fanno parte delle prime vittime del programma nazista. Il genocidio degli ebrei non può farci dimenticare tutti le altre ingiustizie, stragi e massacri che sono stati commessi nel passato e a cui continuiamo ad assistere tutti i giorni. Come scrisse Paul Ricœur: “le vittime di Aushwitz sono, per eccellenza, i delegati presso la nostra memoria di tutte le vittime della storia”. Di ieri e di oggi.
“Uccidersi in forma sporadica o sistematica è sempre stata una delle attività principali dell’uomo”. E’ stato questo l’esordio di Aldo Giobbio. L’uomo, in quanto animale sociale, pone la sua socialità al servizio dell’asocialità. Nei diversi e acuti riferimenti storici, Giobbio ha evidenziato come l’azione violenta sia spesso imposta da un capo rivestito di poteri dittatoriali, nel senso che può darsi che la massa esegua disciplinatamente gli ordini perché ha riconosciuto a monte il diritto del capo a comandare. Non c’è probabilmente mai stato al mondo un dittatore che non abbia preteso di interpretare il volere dei sudditi, anche quando essi non se ne rendevano conto. La “servitù volontaria” – nel 90 per cento dei casi – consiste nell’essersi messi più o meno consapevolmente in una situazione del genere, piuttosto che nell’obbedienza specifica in qualche azione particolare. Il primo fra tutti i mezzi per indurre la gente a portare il cervello all’ammasso è l’ideologia, che è la manipolazione delle coscienze, la pezza giustificativa che occorre dare a quelli dei “nostri” che non sono abbastanza cinici da uccidere a sangue freddo. E il primo morto è la verità. Questo significa che l’opera di igiene mentale – esercizio preliminare e indispensabile per tentare di uscire dalla fogna nella quale siamo ora finiti – non sarà certamente facile, perché l’intossicazione affonda le sue origini molto lontano.
Francisco Prieto è scrittore messicano e della sua terra ha voluto parlare al Tonalestate muovendosi sul piano storico, raccontando di una nazione nata a radice di un genocidio, quando, l’arrivo degli spagnoli causò la morte di più della metà della popolazione del territorio conosciuto come Mesoamerica. Ma non si è sottratto al racconto dell’attualità violenta del suo Paese, rendendo però anche nota la nascita del “Movimiento por la Paz con Justicia y Dignidad” guidato dal poeta Javier Sicilia. Si tratta di un movimento che promuove il ritorno alla piccola comunità, alla fraternità delle differenze, alla costruzione della pace, una pace che non dovrebbe più essere la pace imposta dal cesare romano. Un movimento che non vuole i cosiddetti caudillos, ossia capetti dispotici e mafiosi, un movimento civile che cerca di andar oltre i partiti e ritrovare il senso religioso piú profondo. Si tratta di un movimento di movimenti che si costruisce con la poesia, che proclama il bisogno che abbiamo di consolarci gli uni gli altri, per intraprendere così il viaggio verso la giustizia, ma una giustizia radicata e sostenuta nella carità. La carità che trova il suo fondamento nei misteri dell’Incarnazione e della Redenzione.