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Una realtà di rapporti, una realtà di storia, una realtà di lavoro da difendere

11 Agosto 2011 Nessun Commento

Tutte le rivoluzioni che hanno fatto seguito alla Prima Guerra mondiale, secondo Michel Warschawski, hanno fallito, e la via alla barbarie, di cui parlò Rosa Luxemburg, è culminata nel nazismo. L’umanità è stata portata al limite delle condizione umana, da Auschwitz a Hiroshima. Dopo tali drammi, la comunità internazionale ha scritto la Dichiarazione Internazionale dei Diritti dell’uomo, le Convenzioni di Ginevra e una lunga serie di risoluzioni delle Nazioni Unite e di altre Istituzioni internazionali per dire: “mai più”. Ci sono leggi internazionali e nazionali che tutelano le minoranze, i portatori di handicap e altre istanze fondamentali. I diritti sono scritti e bisogna affermarli. Così, non è più possibile tutelare oggi la colonizzazione come strumento di dominio. In seguito alla scomparsa dell’URSS e l’affermazione degli USA come nuovo padrone del mondo, i neo conservatori hanno deciso un passaggio strategico che vuole rinnegare il fascismo. Ma è davvero così? Oggi c’è solo il profitto, pensiero unico e religione del XXI secolo. E chi ha detto: mai più razzismo? Cosa ne dicono i Rom e i Mussulmani? La divisione non è tanto quella generata dal Muro, ma tra i giudeo cristiani da una parte e i terroristi dall’altra. C’era bisogno di un nuovo nemico globale: il terrorismo. “Quando si apre la porta al razzismo, sia pure verso i Rom o gli islamici, fratelli ebrei, state attenti!” Mai più, abbiamo detto dopo i 60 milioni di morti della II guerra mondiale, ma quanti ne fanno le tante guerre che si stanno combattendo in tutto il mondo? Con i conflitti tribali o etnici? Il mercato delle armi è florido e sarebbe bene approfondire la grande presenza israeliana in tanti conflitti. Il Medio Oriente e la regione araba sono il fronte di questa riconquista globale e lo stato di Israele è corresponsabile di questo, essendo uno dei fautori di essa. Tutto si gioca su questa linea di frontiera. Una primavera del popolo sta fiorendo anche in Israele, sorprendendo anche i militanti. Sta nascendo un movimento popolare imprevisto, iniziato sul settore immobiliare, ma già capace di contestare la gestione della cosa pubblica. Si tratta di cittadini, di lavoratori, che rivendicano diritti ma già prefigurano un nuovo modello di stato, che elimini soprattutto l’arroganza del potere, l’arroganza di chi, essendo ricco, pretende di rappresentare l’interesse pubblico. “La mia generazione ha per molto tempo creduto a un cammino verso la libertà, verso un’umanità felice che vive in armonia con la natura. Ma le guerre, la miseria, il rischio di una catastrofe ecologica stanno a ricordarci che niente è guadagnato per sempre. Aveva ragione Rosa Luxemburg quando diceva che abbiamo due scelte, o la creazione, con la nostra lotta, di un mondo nuovo, o la barbarie. Quanto aveva ragione Walter Benjamin che ci ricordava che siamo sempre davanti a degli incroci e che spetta a noi fare le scelte che ci mettano al riparo dalla barbarie. “Mai più” non è un punto fermo, ma deve essere la nostra bandiera, il nostro impegno a lottare per mettere in rotta le tante nuove barbarie”.

La relazione di Donald Moore titolava: “HAS AIPAC been too successful?” American-Israel Public Affairs Committee (AIPAC) è il comitato affari pubblici americano-israeliani. Nella primavera 2010 gli studenti della Berkley University of California hanno elaborato una risoluzione penalizzante gli israeliani. E’ stato impedito di discuterla dicendo che potevano essere approvate solo risoluzioni favorevoli a Israele. Nell’Università si stanno formando i futuri politici e diplomatici statunitensi. AIPAC sta operando ovunque negli USA in questo senso, anche presso il Congresso, anche in occasione delle visite ufficiali degli statisti israeliani negli States. E non è ammesso alcun comportamento che cerchi una maggiore equità di giudizio. Durante la visita di Niethanau, un giovane ebreo americano ha cercato di intervenire per chiedere giustizia anche per il popolo palestinese; subito è stato affrontato, imbavagliato e spinto violentemente a terra tanto da dover essere medicato in ospedale, quindi arrestato per disturbo ai lavori del Congresso. In sua difesa ha dichiarato che molti giovani ebrei non riconoscono nella politica del proprio governo i valori umanistici che “ci hanno insegnato ad amare i nostri vicini e lavorare per la giustizia. Il blocco paralizzante di Gaza e la brutale occupazione militare di Israele non assomigliano a questo impegno ricco e di lunga data degli ebrei per la giustizia sociale e l’uguaglianza”. Anche Uri Avneri, uno degli ebrei pacifisti più attivi in Israele, in visita al Congresso americano, ha visto, inorridito, il grande plauso riservato a Niethanau, e l’impossibilità di porre obiezioni alla politica israeliana. Di questo si sa poco. In realtà una piccola nazione ne sta soggiogando una grande. Nel febbraio 2011 il Consiglio di Sicurezza delle nazioni unite ha proposto una nuova risoluzione per porre fine a insediamenti israeliani nei territori palestinesi: AIPAC si è opposta e gli USA hanno opposto il veto. È evidente un potere lobbistico capace di condizionare il Congresso. Perché questa sudditanza all’intransigenza israeliana? Il problema non è recente, ma riemerge continuamente. Se AIPAC ha la forza di sostenere Israele, questo significa che Israele ha il controllo del Congresso? Questa domanda apre scenari inquietanti sulla reale forza degli Usa nel valutare le questioni legate al conflitto nel Medio Oriente.

Lucio Urtubia è un muratore spagnolo nato in Navarra nel 1931, quinto figlio di una famiglia molto povera. Dice di poter parlare solo di sé e racconta della sua infanzia nella Spagna di Francisco Franco. La condizione di povertà nella quale crebbe la considera, oggi, una fortuna, perché la povertà insegna ad avere rispetto delle cose che lo meritano. Nella società odierna bisogna ridare valore al lavoro e tutti quelli che lo promuovono, per lo più per iniziativa diretta della gente, altrimenti si dovrà subire una politica che definisce fatta da “stupidi”. Si professa anarchico in quanto persona responsabile in tutte le situazioni, incapace di poter rispettare il potere di questa società. “Siamo costretti a perdere rispetto per questa società e per qualsiasi governo. Dovete perdere il rispetto, sapere che quello che i governi ci propongono è contro di noi. Ma occorre lavorare, non c’è da aspettare. Occorre essere “indignati”, perché le idee di responsabilità sono l’unica via di salvezza da questa situazione, attraverso la quale stiamo distruggendo il mondo intero. Dobbiamo reagire e esigere, con un’azione responsabile e decisa, quello che ci interessa veramente”.

Nadia Benomar è portavoce del Nobel Peace Prize for African Women, interprete alla prefettura di Bologna e si occupa dei rifugiati in fuga dai paesi del Nord Africa, in particolare delle donne. A loro riguardo, in molti paesi sono ancora praticate l’infibulazione e la schiavitù. Si sposano ancora bambine e, quindi, non vanno a scuola e, essendo mantenute dagli uomini, non lavorano, se non in casa, svolgendo attività di artigianato o di gastronomia. Alta è la diffusione dell’Aids anche tra loro. La donna resta la figura centrale della famiglia, vera garante della sua unità. “Le ragazze con cui lavoro qui in Italia sono soprattutto libiche, donne spesso stuprate, derubate, private di tutto, soprattutto in questi tempi di guerra”.

Gabriel Mouesca in precedenti edizioni del Tonalestate ha raccontato della propria esperienza carceraria e del proprio lavoro, insieme alla Comunità Emmaus, a sostegno dei prigionieri nelle carceri francesi. E’ un giovane politico basco che fin da ragazzino ha lottato per la difesa della minoranza del suo popolo sia in Francia che in Spagna. Oggi si presenta candidato al Senato francese in difesa dei diritti dei baschi entro il Paese dei Diritti dell’uomo. In questa edizione 2011 ha spiegato le radici storiche, linguistiche, culturali del popolo basco formato da circa 3 milioni di persone dislocate su un territorio di 20mila km quadrati tra la Spagna e la Francia. Gabriel si è servito di alcuni termini del suo lessico per spiegare l’identità della sua gente. Tra questi Euskaldunossia “chi possiede la lingua basca”. Chi è capace di parlare tale idioma è per ciò stesso considerato basco. Ikurrina è la bandiera con il suo fondo rosso in onore del popolo a causa del sangue versato; al disopra degli uomini, la croce di St André, verde, per rappresentare la quercia di Gernika simbolo della libertà dei baschi. Infine la croce bianca che segnala la superiorità di Dio sulla Legge degli uomini e su tutti gli Uomini. Dal giorno dell’annessione delle terre basche ai due stati europei, in seguito alla disfatta d’Amaiur, in Navarra, di cui Mouesca ha ricordato ogni passo, la storia per avere il riconoscimento come Stato sovrano è stata percorsa da molti lutti e facilmente si è qualificata come azione dell’ETA, pertanto terrorista, qualsiasi richiesta tesa al riconoscimento dei diritti propri di questo popolo. Tale forma politica e giudiziaria di persecuzione ha costretto migliaia di persone all’emigrazione, distruggendo moltissime famiglie. Fra questi vi erano certamente membri dell’ ETA, ma anche giornalisti di molti giornali (Egin Irratia, Egin, Ardi Beltza, Egunkaria…), militanti culturali, sindacalisti (Rafa Diez de LAB), politici (Assemblée d’élus Udalbiltza), giovani il cui crimine è quello di organizzarsi su alcuni problemi, partiti messi al bando dall’oggi al domani, e anche più di 40.000 cittadini privati del diritto di candidarsi a diversi tipi di elezioni. E “tant d’autres, tués dans la rue par les forces de « maintien de l’ordre » (Rosa Diez..) ou enterrés dans la chaux vive après kidnapping et tortures (Pertur, Lasa, Zabala…) ». La repressione continua ancora oggi e impedisce ogni forma di dialogo costruttivo come è avvenuto in Irlanda, sebbene il 10 Gennaio scorso l’ETA abbia dichiarato un cessate il fuoco “permanente e generale” riprendendo, quasi parola per parola, la Dichiarazione di Bruxelles del marzo 2010 elaborata dal Gruppo internazionale di contatto con a capo l’avvocato Brian Currin, mediatore sud-africano. “Au Pays basque Sud, la fin du conflit ne pourra être que le fruit de l’acceptation par Madrid du droit à l’autodétermination du peuple basque et à son application. Au Pays basque Nord, la sortie du conflit passe par la prise en compte par Paris de deux revendications majeures : la reconnaissance institutionnelle du pays basque nord, via un statut d’autonomie. Puis, l’officialisation de la langue basque ».

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