Introduzione TE08 “le identità negate” Italiano – English – Français – Español – 日本語
4 Luglio 2010 Nessun Commento
L’argomento che verrà affrontato nel Tonalestate 2008 è la società multiculturale. Stiamo andando verso una società in cui le diverse identità, necessariamente, si incontrano. L’incontro con il diverso, con l’altro, che già entrava in ogni aspetto della vita dell’uomo, è oggi implicato, moltiplicato ed elevato a potenza dalla globalizzazione, tanto che il multiculturalismo sta diventando, rapidamente e sempre più, un dato di fatto a livello filosofico, religioso, addirittura scientifico, a livello politico ed economico oltre che a livello culturale come tale. O il multiculturalismo diventa ingiustizia e negazione delle identità (cancellandole e negandole attraverso l’egemonizzazione di una sulle altre o emarginandole), fino a provocare uno scontro di culture e di civiltà (scontro che ha già i suoi infausti cantori), oppure diventa possibilità di costruzione di un dialogo umano, culturale e sociale dignitoso e vero, a tutti i livelli e in tutte le nostre condizioni sociali: come lavoratori, come professori, come studenti, come medici, come scienziati. Solamente accettando il clima sociale di un multiculturalismo rispettoso e dialogante sarà possibile essere presenti nella società con una propria identità e cultura, alla pari con gli altri, in un dialogo di forze positive e vitali, dialogo concreto, rispettoso, combattivo il necessario e fecondo. Il titolo -“Pape Satàn, Pape Satàn aleppe!”- è un verso della “Divina Commedia” di Dante Alighieri che esprime, in una lingua appositamente non intelligibile, il grido di una mente demoniaca deformata. Il significato delle parole è dunque sibillino (anche se moltissimi critici e commentatori hanno tentato di spiegare e tradurre questa oscura espressione, probabilmente tratta da formulari medievali). Ma ciò per cui la frase interessa a Tonalestate (come suggerisce il sottotitolo: “le identità negate”) è che essa può essere colta come l’icona dell’etnocentrismo e del rabbioso tentativo di impedire all’uomo di incontrare l’altro. Sono, infatti, queste le parole gridate da Pluto (“il maladetto lupo”, simbolo della brama di ricchezza, che, per Dante Alighieri, è la maggiore nemica della felicità umana e dell’ordine sociale) per fermare il viaggio di Virgilio e Dante, sulla soglia del quarto cerchio della cantica dantesca dell’Inferno. Il tentativo demoniaco di impedire ai due il proseguimento del cammino che farebbe loro conoscere altri mondi e farebbe giungere Dante alla purificazione, è qui
assunto come simbolo di ogni potere, di ogni mentalità e di ogni cultura o religione che vogliano impedire il dialogo dignitoso e paritario tra le culture, che intendano bloccare la conoscenza dell’altro e del diverso, che operino per fermare l’uomo alle sicurezze che già stanno tramontando (come canta il detto: “chi si ferma è perduto”), che militino a rendere impossibile il contatto, la conoscenza e il rispetto delle realtà umane e sociali diverse, ancora incomprese o misteriose, segni di una realtà più grande che ci sta “oltre”. L’immagine è il particolare di un dipinto di Henri Rousseau (detto
“il doganiere”): “Zingara addormentata”. Un feroce leone affamato, che potrebbe avventarsi sulla zingara addormentata, invece si trattiene e ne gusta il profumo. La zingara, donna dalle vesti esotiche e profumate, il cui sonno è accompagnato da una silenziosa luna e dalla possibilità di una melodia sconosciuta e inebriante, è lo straniero, è l’identità diversa, è una novità che si presenta alla cultura e alla civiltà più potenti, le quali, se solo ne accettassero il dolce profumo, si asterrebbero dal disprezzarla e di- struggerla. La frase è di Max Scheler (la crisi dei va- lori,1936). Contrariamente alla rabbia di chi vuole ostacolare e ridurre tutto il diverso da sé a creatura spaventosa e temibile (come volle l’urlo terrificante del Pluto dantesco), dimostra la posizione più dignitosa: quella che si piega a salvare e a preservare il di- verso (come il leone di Rousseau). Ma ciò è possibile –così afferma Max Scheler- se l’uomo e le civiltà hanno il realistico senso dell’umiltà, il quale riconosce il valore dell’altro diverso incontrato, mette in un dialogo alla pari con esso e si traduce in servizievolità verso di lui. L’incontro risulta allora per l’uomo possibilità e non negazione, speranza e non disperazione, servizievolità e non oppressione.